Terrà

Non solo trattorie, le grigliate di castrato si riprendono la scena

Il consumo che si fa in molte zone della Sicilia di tutte le altre carni ovine – agnello, capretto, pecora e capra, quest’ultima con diverse sagre – non eguaglia tuttavia quella del castrato, il maschio della pecora ingrassato al pascolo apposta per utilizzarne la carne. Le costolette di castrato meritano la lente di ingrandimento perché sono senz’altro, insieme alle provole e alla particolare ricotta al forno, il simbolo della gastronomia delle montagne, soprattutto quelle nebroidee, differenziandosi in questo dal resto della Sicilia, tant’è che sono sempre assai numerose le puntate, nei fine settimana dal resto dell’Isola, a trattorie e ristoranti di crinale: un turismo gastronomico, quello dei Nebrodi, più o meno di prossimità, che nel corso degli ultimi decenni è sempre stato in crescita.

Il castrato appartiene, è vero, alla gastronomia tradizionale anche di altre aree di collina o di montagna del nostro Paese, a cominciare dalla Romagna e dall’Abruzzo, ma non si può essere accusati di partigianeria se si afferma che le costolette alla brace dei Nebrodi sono superiori agli arrosticini degli altri. Seppure il consumo di agnello e capretto sia abbastanza diffuso e quello delle carni di pecora e di capra non del tutto scomparso, sono le grigliate di costolette di castrato a dominare il mondo delle carni ovine, nell’immaginario collettivo non meno che nelle abitudini delle popolazioni di questo territorio. Sono quelle grigliate per le quali, insieme a quelle di salsiccia, sono conosciuti gli esercizi della ristorazione tipica eredi negli ultimi decenni delle semplici e meno attrezzate barracche di cui erano disseminate le strade che percorrono i crinali e le campagne montane.

Snobbate fino a non molto tempo fa dai locali più dignitosi, le grigliate di castrato sono entrate nelle proposte dei sempre più numerosi agriturismi che costellano tutta l’area e soprattutto anche nei menù di molti ristoranti di più alto livello. Un tempo si diceva che, le domeniche, venivano da tutta la Sicilia a riempire trattorie e barracche dei Nebrodi giusto solo per gustare questo particolare e prelibato piatto. Oggi trattorie e ristoranti questi visitatori li ospitano, e le loro costi i castratu trovano ospitalità anche nei circuiti televisivi. Oggi come allora tuttavia, in estate soprattutto – agosto è il mese principale del castrato, non fosse altro che per l’età e il peso raggiunto dagli agnelli risparmiati in primavera – anche se il periodo si è ampliato, il profumo intenso e particolare della carne che cuoce sulla brace si diffonde tutt’intorno a ogni locale specializzato in questa tradizione culinaria.

Le grigliate di castrato profumano anche i picnic estivi all’ombra dei boschi di queste montagne e molti vicoli dei paesi con piccole griglie sul balcone o fuori dalla porta, con un profumo che non consente errore in merito alle carni che stanno cuocendo. I nasi e le bocche delicate lamentano talvolta l’odore di selvatico che il loro grasso che brucia porta con sé, ma esso è in realtà fortemente attenuato da sapienti marinate, dalla coltura alla brace e dall’inimitabile effetto che produce u sammurigghiu cosparso sulla carne durante la cottura. Il castrato alla brace non necessita di contorni, ma se si vogliono aggiungere sono da consigliare leggeri, niente patate al forno e tanto meno patatine fritte standard, ma insalate, pomodori, che lasciano il necessario spazio al sapore di questa carne.

I turisti, ma il consiglio vale anche per i locali, che vogliono davvero gustare le costolette di castrato alla brace, tralascino i pur ottimi antipasti, e anche i primi, e facciano di questa carne il piatto unico e abbondante, di un fuori porta gastronomico speciale. Anche se si può dire che le costolette sono “il castrato”, in famiglia come al ristorante, si può comunque ricordare che le sue carni si prestano a essere impiegate in altri modi. Certa tradizione, ormai residuale, le vuole anche al forno o stufate o in umido con vari accompagnamenti, a cominciare dalle patate ma anche con i pregiati funghi di ferla.

(Tratto dal libro “Cucina e gastronomia dei Nebrodi” di Pietro Ficarra)

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