Terrà

Si parte dal pomodoro
Agricoltura protetta, in Sicilia il 20% della produzione nazionale. Nelle serre, nuove sfide fitopatologiche

Quattromila ettari di coltivazioni fatte in serra, dette anche coltivazioni protette, che insistono su quella che viene definita la “fascia trasformata siciliana”, che da Pachino corre lungo la costa fino a Palma di Montechiaro. Un territorio coltivato che è pari al 20% della produzione nazionale e che, per le sue peculiarità, ha tutta una serie di complicazioni. Se infatti le produzioni fatte in serra sono protette dalle condizioni climatiche avverse, l’ambiente protetto in cui vivono evita che le intemperie possono avere ripercussioni negative; dall’altro in questi ambienti possono insorgere problemi fitopatologici. Con l’intento di trovare delle soluzioni a queste problematiche che, al tempo stesso, non vadano a compromettere il suolo e l’ambiente circostante, ha recentemente preso il via il progetto Bio Pathogens, realizzato grazie ai finanziamenti della sottomisura 16.2 del Psr Sicilia 2014/2022.

Partendo dallo sviluppo di tecniche innovative per la gestione sostenibile dei patogeni del pomodoro, la coltura che principalmente viene coltivata in serra, si propone di trovare soluzioni efficienti e rispettose per l’ambiente che siano replicabili per altre colture che nascono e crescono in serra, quali peperoni, melanzane, meloni, cocomeri e zucchine. Bio Pathogens vede insieme 13 partner con capofila la Sata Srl, società di servizi integrati di progettazione, consulenza e controlli per i soggetti della filiera agroalimentare vegetale, con sede a Scicli, nel Ragusano.

“Il progetto che abbiamo presentato alla Regione Siciliana e che ci ha permesso di ottenere il finanziamento, è stato pensato per risolvere due problematiche fondamentali della cosiddetta fascia trasformata siciliana – spiega a Terrà Rodolfo Occhipinti, agronomo capo area Sud Italia Sata Srl -. Il primo problema da affrontare è quello di trovare alternative all’affumicazione dei suoli con i prodotti chimici per contrastare le avversità di natura fungina e animale. L’altro aspetto a cui guardiamo è quello legato alla gestione delle piante a fine cicli colturale, quando il pomodoro è stato tutto raccolto e nel terreno rimangono solo le piante che sono da considerarsi un rifiuto a tutti gli effetti”. Le tecniche colturali in ambienti protetti, infatti, esercitano una forte pressione negativa sulla microflora del terreno, ma le politiche europee sull’uso dei fumiganti ne impongono restrizioni sull’uso, incoraggiando invece l’adozione di strategie alternative, per preservare la flora microbica del suolo.

Al contempo quello che si sta cercando di portare avanti è l’utilizzo di tecniche di disinfestazione biologica del terreno grazie alla collaborazione con l’Università degli Studi di Catania, interrando i residui della coltivazione del pomodoro dopo essere stati trasformati in compost distribuito in cumuli addizionati di sostanze organiche. “La fermentazione azzera la carica fitopatologia che potrebbe essere presente, quindi il compost che si crea da questi cumuli viene interrato nel terreno e solarizzato, ovvero ricoperto di teli – spiega Occhipinti – si cerca quindi di tenere il terreno sempre umido per eliminare l’aria presente e creare un ambiente primo di ossigeno che quindi diventa un ambiente con condizioni avverse per tutta una serie di patogeni che potrebbero creare danni alle culture”.

Al momento è stato fatto un primo ciclo di attività con la collaborazione di tre aziende, tra Marina di Ragusa ed Ispica, e il lancio del progetto con un evento ufficiale che si è tenuto proprio a Scicli a metà maggio, ma è ancora presto per presentare i dati. “Con i primi test – aggiunge Occhipinti – non sono emerse criticità legate ad avversità fitopatologie del suolo e questo ci incoraggia. Ma serve fare ancora strada e al momento stiamo preparando ulteriori cumuli da monitorare per poi immettere tutto nel suolo arricchendolo di sostanza organica”.

Il problema maggiore sarà quello della gestione della cultura a fine ciclo, se l’obiettivo dovesse essere raggiunto non solo verrebbe risolto un importante problema per il territorio, ma come evidenzia ancora Occhipinti, “si creerebbero nuove opportunità per aziende che per esempio potrebbero specializzarsi nella gestione delle piante del pomodoro ormai a fine vita che potrebbero essere redistribuite come compost nelle aziende agricole”. Il progetto andrà avanti fino all’aprile dell’anno prossimo, ma a fine anno potrebbero già esserci i primi dati. Alla fine verrà realizzato un manuale sull’innovazione messa in atto in cui verranno riportate tutte le procedure e le istruzioni per mettere a punto questa tecnica.

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