Lo scenario
Cambiamenti climatici e aumento costi, settore olivicolo siciliano in sofferenza
L’autunno in Sicilia porta con sé numerosissime tradizioni che hanno a che fare con la terra, e in queste prime giornate in cui il caldo lascia spazio al fresco inizia anche la raccolta delle olive. Alberi carichi sotto ai quali vengono distese le reti che raccoglieranno un frutto la cui lavorazione è iniziata tanti mesi fa con i primi germogli, e che solo adesso troverà la sua ultima destinazione verso i frantoi, per dare vita all’olio.
Eppure non sono tutte rose e fiori, perché le tradizioni non tengono certamente conto della situazione che agricoltori e produttori vivono in questo momento, avendo a che fare con condizioni climatiche ed economiche completamente diverse.
Le aziende siciliane infatti devono fare fronte al cambiamento climatico, all’aumento dei costi di produzione, ad una riduzione stessa delle produzioni causata da una diminuzione della superficie coltivata ad olive. E se un tempo la nostra era una delle regioni italiane che produceva il maggior quantitativo di olio adesso, come succede nel resto d’Italia, a malapena riesce a soddisfare il proprio fabbisogno.
Il grido d’allarme arriva dalla voce di Giosuè Catania, presidente della Società Cooperativa Agricola Produttori Olivicoli (APO) che afferma: “In un contesto economico profondamente cambiato e con un dato produttivo incerto, diventa necessario mettere mano ad una strategia di programmazione a medio e a lungo termine che affronti i limiti strutturali di un comparto – quello olivicolo/oleario -che rimane pur sempre uno degli assi portanti dell’economia della nostra regione”.
La Sicilia, al momento, ha un Piano Olivicolo risalente al 1991 e l’APO in questi ultimi mesi ha lavorato per rendere disponibile una fotografia del comparto utile per mettere in campo i prossimi passi.
Le stime parlano di 159.000 ettari di terreno coltivato a olive; 21 milioni di piante; 7,5 milioni di euro di fatturato in riferimento alle dop, prevalentemente nel territorio Ibleo, in quello Etneo e nelle Valli di Mazara, Demone, Trapani e Del Belice.
Grazie ai dati raccolti da APO è possibile comprendere la sofferenza del comparto, soprattutto per quanto riguarda le piccole aziende: Il 78% coltiva meno di 250 piante con una quota di olio prodotto pari al 46 % del totale; il 12% si colloca tra le 250 e 500 piante ad ettaro e solo il 4 % di oliveti semintensivi ha un numero di piante ad ettaro compreso tra 400 a 600; infine appena l’1,3% ha un numero di piante superiore a 1.000 con una quota di olio prodotto pari al 25% del totale.
Altro dato da analizzare è quello dell’età degli addetti ai lavori: solo l’11% ha meno di 40 anni, mentre il 32% ha 65 anni o più, con un conseguente gap generazionale.
Un settore emergente è quello dell’olio biologico, e le politiche regionali, che stanno sviluppando in maniera decisiva il tema della sostenibilità, favoriscono questo tipo di produzione. Guardando i dati ad oggi il 20% della superficie olivicola siciliana, secondo APO, è biologico ed in continua crescita.
L’olio rimane una delle eccellenze siciliane e il lavoro dell’assessorato regionale dell’Agricoltura è quotidiano e continuo, sempre a fianco dei produttori per recuperare i ritardi accumulati ad oltre trent’anni dalla redazione del Piano Olivicolo attualmente in vigore.
Proprio in questi giorni è arrivato l’annuncio del dipartimento regionale dell’agricoltura della pubblicazione di un bando da oltre 12 milioni di euro, realizzato grazie ai fondi del Pnrr, per l’ammodernamento dei frantoi oleari, con l’obiettivo di renderli più sostenibili in ogni fase della produzione.
L’assessore Luca Sammartino ha così commentato: “Rinnovare le tecnologie dei frantoi è un passo fondamentale per sostenere il percorso di crescita dei nostri produttori, aiutandoli ad essere più competitivi sui mercati nazionali e internazionali”. Mercati ai quali la Sicilia guarda intensamente e verso i quali si proietta una parte del lavoro dell’Assessorato.
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