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Cucina siciliana: un mosaico di culture e tradizioni

La Sicilia ha ottenuto un prestigioso riconoscimento internazionale come “Regione europea della gastronomia 2025”, diventando così la prima regione italiana a ottenere questo titolo di eccellenza. Il merito va all’impegno costante nel valorizzare le proprie tradizioni culinarie e promuovere l’enogastronomia locale a livello internazionale.

La tradizione culinaria siciliana è antica e influenzata dagli eventi storici, politici e religiosi che si svolgono nell’isola. Conserva ancora l’impronta di tutti i popoli che l’hanno abitata e che hanno lasciato le loro tracce. È un risultato sorprendentemente armonico ed equilibrato di culture molto diverse, lontane nel tempo e nello spazio. Si dice infatti che tanto splendore della cucina siciliana sia dovuto alle numerose dominazioni sull’isola: ognuna di esse ha lasciato una traccia indelebile del suo passaggio che si è mescolata a quelle precedenti, soprattutto quando si trattava di cucinare.

Consapevole di essere esposta e facile preda di chiunque, l’identità siciliana ha imparato ad assorbire e interiorizzare le molteplici culture con cui è venuta in contatto nel corso dei secoli, esprimendole poi con uno stile distintivo e unico. Si tratta quindi di una cultura gastronomica regionale che mostra tracce e influenze di tutte le culture che si sono insediate in Sicilia negli ultimi due millenni, tramandate di generazione in generazione. Possiamo certamente affermare che la Sicilia ha preso il meglio di tutti e lo ha fatto suo.

I Fenici, i Greci e i Romani

I doni portati dai Greci in Sicilia furono il rispetto per l’olio d’oliva, la capacità di innestare le viti da vino con portainnesti importati dalla stessa Grecia, che permise la nascita di una viticoltura arcaica sviluppatasi fino ai giorni nostri, e l’utilizzo del farro come pianta ingrediente per tagliatelle molto gustose e per pasta frolla. La vera rivoluzione gastronomica portata dai romani fu il grano, e in particolare il grano duro cosiddetto ‘vestito’, cioè il grano che non perdeva lo strato di maturazione; contemporaneamente fa la sua comparsa il farro: cibo per ricchi e poveri, guerrieri e poeti. Anche i ricchi romani erano disposti a spendere fortune pur di avere un cuoco siciliano al loro servizio. A loro pare si deve l’introduzione dell’usanza di cuocere “nel pane”, da qui le “mpanate”, focacce ripiene e i mustaceos. I romani acquisirono dai greci la cultura del cibo, del banchetto e del convivio. Erano grandi consumatori di garum, una salsa ottenuta dalla macerazione delle budella di pesce in salamoia.

Fave

Tra i piatti più apprezzati, l’anguilla (allevata da loro), la murena in brodo, i calamari ripieni e il macco di fave. Portavano dalle province più lontane nuovi frutti e spezie: semi di papavero, cannella, chiodi di garofano, zenzero e pepe, usati per conservare la carne. Grazie alla sua posizione geografica, la Sicilia svolse un ruolo importante per i popoli mediterranei ed europei. Molteplici civiltà hanno contribuito ad arricchire l’isola di insediamenti urbani, monumenti e vestigia, ma anche di un patrimonio immateriale di tradizioni, culture ed eredità culinarie. Ogni popolo e ogni dominazione hanno determinato la ricchezza gastronomica dell’isola. I Fenici fornirono una nuova tecnica di conservazione degli alimenti mediante salatura e affumicatura. Il periodo romano coincise con l’arrivo delle comunità ebraiche in Sicilia, la cui permanenza durerà fino alla fine del XV secolo, quando furono espulse dal regno di Ferdinando e Isabella. La cucina ebraica ha lasciato un segno indelebile nella gastronomia siciliana. Ad esempio, la scaccia e la vota-vota, preparate con pasta non lievitata e ripiene di verdure, discendono direttamente dal pane azzimo, alimento rituale pasquale. Le triglie allo zafferano – ancora tipiche della Sicilia – erano un piatto del Capodanno ebraico.

Gli ebrei introdussero anche l’aglio soffritto nell’olio d’oliva come condimento per le verdure. Erano particolarmente abili nella cottura delle frattaglie. Pani ca meusa, quarume, frittula, stigghiole, mussu, masciddaru e carcagnola hanno infatti origine ebraica. Dal cous cous, che per preparazione e ingredienti potrebbe essere antecedente all’immigrazione arabo-berbera e risalire molto più indietro, al farro romano; dalla pasticceria siracusana, dovuta alla presenza della nobiltà bizantina poiché la città era situata all’estremità occidentale del dominio di Bisanzio, ai ‘pupo di zucchero’ in stile kubaita di sicura origine orientale; dal merluzzo e lo stoccafisso, tipici del Nord Europa ma cucinati in modo da trasformarli in piatti mediterranei, alla cassata e ai cannoli le cui tecniche di preparazione del formaggio denotano un’origine nordica; dalle ‘sarde a detto anche pesce pane, alle mille altre pietanze che i cuochi – non a caso chiamati ‘monsù’ – di nobili famiglie derivano da quelle francesi, dall’epoca angioina fino ai Borboni.

Poi ci sono gli Arabi

La dominazione araba permise il ridimensionamento del latifondo e la creazione di piccole e medie aziende agricole in grado di sviluppare una fiorente agricoltura di arance amare, limoni, mandarini, cotone, riso, gelsi, canna da zucchero, mandorle, nocciole, pistacchi e uva. Realizzarono inoltre la prima rete di irrigazione delle campagne, introdussero la distillazione del vino e delle vinacce e la produzione di alcool utilizzato come disinfettante.

Tonno

Anche il sorbetto e il gelato sono di origine araba: la scursunera era un gelato al gelsomino, il primo mai preparato però con finalità curative. Araba era anche l’arte di essiccare la pasta e di preparare il cous-cous. La pasta veniva spesso condita con le sarde, proprio come oggi per uno dei primi piatti più caratteristici della cucina palermitana. Le pastelle e la sfincia, pasta fritta, furono introdotte anche dagli arabi, noti anche per la loro preferenza per la carne macinata, spesso utilizzata come ripieno o in sformati e timballi. La tradizione araba della vendita per strada di cibi pronti si poneva in continuità con la pratica introdotta dai romani, dando forza ad una tendenza che ancora oggi sopravvive e caratterizza soprattutto Palermo, sotto forma del tanto celebrato street food.

Ancora una volta gli Arabi introdussero nuove e più avanzate tecniche di pesca e di conservazione del tonno e la pesca del tonno ebbe un boom, soprattutto nel trapanese. Per comprendere appieno l’importanza economica, sociale e culturale che la pesca del tonno ha acquisito nel corso dei secoli, è necessario considerare l’immunità civile e penale che il Regno d’Aragona concedeva a tutti coloro che operavano nel settore della tonnara durante la stagione della pesca del tonno (detta ‘mattanza’). E infatti, tra il XVI e il XVII secolo, la pesca del tonno costituì un forte e crescente motore dell’economia dell’isola. Aumentano le attività di pesca del tonno: in questo periodo se ne contano 35, di cui 8 nel trapanese.

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