Terrà

Parla l'esperto
Il tartufo si può anche coltivare, ecco come. In Sicilia cresce il business

In Sicilia, il tartufo è sempre più protagonista nell’agroalimentare. E si sta manifestando, di conseguenza, un business sempre più interessante non solo perché la nostra regione è tra le più ricche d’Italia ma anche perché questo fungo non solo si caccia ma si può anche coltivare. Sì, si può coltivare e anche trasformare come ci spiega l’esperto Destrino Giuseppe Papia, del Dipartimento assessorato regionale Agricoltura. Primo passo, bisogna creare la piantina in vivaio, ovvero raccogliere il seme nei boschi per averne uno proveniente da piante forestali autoctone. Seme che va sterilizzato e messo in serra in un substrato inerte così da non incorrere in contaminazioni per la co-estistenza di altri funghi antagonisti che potrebbero essere presenti nel terreno, ed è con le medesime condizioni che si assiste alla comparsa dei primordi radicali. Dopo la prima emissione radicale, il seme, quindi radicato, viene spostato in un nuovo semenzale con substrato con caratteristiche pedologiche ottimali, e va irrigato con acqua di fonte, così da garantire, quando possibile, una buona qualità del corpo acquoso e quindi scongiurare eventuali contaminazioni dell’apparato radicale.

Dopo l’emergenza della piantina, va fatto un lavoro di potatura nell’apparato radicale per stimolare l’accrescimento del rizoma, e quest’ultimo viene messo a contatto con l’inoculo sporale tartufigeno (questa fase è detta ‘processo di micorrizzazione) e la piantina che si ottiene è una pianta tartufigena. La coltivazione non è possibile con le sole spore del tartufo ma è necessaria l’associazione con una pianta forestale, che viene chiamata ‘’pianta ospite’’. Bisogna infatti stimolare l’apparato radicale di una pianta forestale arborea o arbustiva, in un ambiente protetto (serra), utilizzando un miscuglio di tartufo che si chiama inoculo sporale, cioè un insieme di spore, ottenute da tartufi della stessa specie, macinati con alcune sostanze che attivano le spore. Dopo alcuni accorgimenti vivaistici, la pianta viene micorrizzata e, una volta constatata una buona percentuale di micorrizzazione e un buon sviluppo vegetativo della pianta ospite, viene messa a dimora nel terreno.

Attenzione, ci devono essere le condizioni pedoclimatiche ottimali per svolgere questa operazione che necessita terreni alcalini con un ph superiore a 7, con presenza di calcare attivo ottimale, quindi terreni provenienti da roccia calcarea. Ad esempio, delle piante ospiti ottimali sono il Leccio, la Roverella, il Nocciolo e il Pinom. La micorrizzazione infatti può essere fatta su diverse piante, ma non tutte si adattano allo stesso tipo di terreno, quindi a seconda del tipo di suolo e della pianta ospite si sceglierà una particolare specie di tartufo, che meglio si presta alle condizioni pedologiche; ad esempio, il bianchetto cresce meglio in terreni prevalentemente sabbiosi, mentre il nero estivo ricerca terreni ricchi di calcare attivo, quindi terreni prevalentemente montani. Coltivato e raccolto il tartufo, il fungo si può anche trasformare, producendo, per esempio, conserve. In questo caso, il tartufo viene utilizzato spesso in una percentuale del 5% circa, addizionato ad altri prodotti agroalimentari come funghi, creme di formaggio o burro.

L’alimento ottenuto dalla trasformazione del tartufo viene messo nel pastorizzatore a 90-100 gradi, temperature che causano la volatizzazione dell’aroma del tartufo; quindi per avere una conserva che soddisfi i gusti del consumatore di tartufo, si deve usare una molecola che richiami l’aroma del tartufo fresco. La molecola più comune è il bismetil-tiometano, un composto chimico il quale profumo evoca quello del tartufo fresco. Di recente si sta anche procedendo a selezionare degli aromi naturali. Ma il modo ottimale per gustare il tartufo è sicuramente quello di mangiarlo fresco, perché gli aromi usati per le conserve possono essere simili, ma non potranno mai eguagliare il prodotto naturale completamente biologico. Le conserve permettono di gustarlo su più piatti e di conservare il prodotto in un arco di tempo più lungo, consentendo creazioni culinarie non possibili utilizzando il tartufo fresco come l’olio al tartufo. Come è noto, in Sicilia crescono diverse specie di tartufo e la sua raccolta è oggetto di regolamentazione da parte dell’assessorato dell’Agricoltura della Regione Siciliana.

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