Terrà

Il pozzetto di legno, la vera svolta per la granita siciliana

La granita è nota per essere il dissetante composto semi-congelato preparato con acqua, zucchero e i succhi preferiti. Anche le sue origini, come quelle di molte altre cose, si vogliono fare risalire alla dominazione araba in Sicilia – gli Arabi preparavano lo sherbet, una bevanda fresca aromatizzata – ma i modi di preparazione dell’antenata della granita rimasero a lungo quelli di grattare il ghiaccio che proveniva dalle molte nivieri presenti in Sicilia (per chi interessato, esiste una loro interessante mappatura, che si trova anche in Rete) e dargli poi il sapore desiderato con succhi, sciroppi, ecc., operazione non diversa da quella che si fa dappertutto anche con la neve fresca. Il passo decisivo per cambiare la sostanza della preparazione, e soprattutto l’apprezzamento, fu la nascita del pozzetto di legno, un tino, con all’interno la sostanza refrigerante e un secchiello di zinco, da girare con la manovella.

Le macchine successive si ispirarono a questa, perfezionandola ovviamente. Ancora oggi i siciliani considerano una sorta di barbarie chiamare granita quella operazione che suole insaporire il ghiaccio, comunque prodotto, che si spaccia in giro col nome di granita. Granita e brioche, quella cu tuppu ovviamente, sono anche sui Nebrodi una sorta di imperativo categorico per chi si trova a vivere, turista o abitante che sia, la lunga estate siciliana. E qui la cosa non è da meno. Ci si sente quasi obbligati e a tutte le ore: al mattino a colazione, appena usciti di casa, a metà mattina, nelle lunghe ore del pomeriggio. La merenda è una scusa ma l’alternativa, per chi non vuole rischiare la dieta, è rifiutare la brioche e la panna e buttarsi solo sulla granita di limone, raccontando ai compagni al tavolo del bar che si ama la tradizione. È tuttavia trascorso molto tempo – un secolo almeno per la Guida Touring – da quando, all’originario, storico direi, gusto di limone, si sono affiancati quelli al caffè e alla fragola, e si è aggiunta la panna.

Poi non poteva mancare negli ultimi decenni quella di mandorle, che in altre province dell’Isola era già d’obbligo, e quell’altra di gelsi neri, che sa anch’essa di Sicilia, e poi finalmente quella di nocciole, che erano il prodotto d’eccellenza di questo territorio, ma insieme a decine di altri gusti, in una gara tra bar, ritrovi, locali. Talvolta anche i nuovi gusti si rivelano all’altezza delle aspettative ed entrano in competizione con quelli tradizionali, che tuttavia sanno come resistere. Personalmente in tema di granite amo la tradizione ma alcune innovazioni, almeno qualche volta, si fanno scegliere. Nelle immagini come nei bar specializzati in granite – molti nelle località della lunga costiera dei Nebrodi – si può scegliere, e allora mettere insieme quella di gelsi neri e del più esotico mango si può fare!

È trascorso del tempo da quando sono comparse le brioches, che hanno cacciato via i biscotti al sesamo (salvo inevitabile revival in qualche caso) ed eliminato ogni concorrenza con qualsiasi altra cosa avesse la pretesa di finire dentro a inzupparsi. Il ricordo delle mie nonne che nelle granite di limone ci inzuppavano il pane è ancora vivo, ma erano nate nell’Ottocento e chi portava loro la granita era un bambino: basta fare i conti. L’importante è che si parta da ingredienti presi direttamente dalla natura, a cominciare dai limoni e non da succhi o preparati. Che il maggior merito sia degli arabi, o di altri venuti dopo, o forse prima, importa poco – certo, anche la trasformazione in arte della sola combinazione di neve e succo va in lode a chi ha contribuito – meno in ogni caso di quanto possiamo apprezzare tradizionali e innovative a un tavolo di un bar nell’assolato pomeriggio siciliano.

(Tratto dal libro “Cucina e gastronomia dei Nebrodi” di Pietro Ficarra)

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