Terrà

Germoplasma olivicolo siciliano, il recupero della memoria

Negli ultimi vent’anni della mia carriera professionale ho avuto l’incarico di raccogliere, presso il Campo Sperimentale dell’Esa, tutto il patrimonio genetico olivicolo presente in Sicilia, catalogarlo e descriverlo in collaborazione con l’Università di Palermo. Negli stessi anni con il prof Claudio Peri, Erminio Monteleone, Paolo Pasquali e altri amici, abbiamo avviato l’esperienza della “TRE E” ovvero produrre degli oli di assoluta eccellenza “Beyond Extra Virgin”. All’inizio il lavoro di raccolta, descrizione, catalogazione e conservazione sembrò una semplice, naturale attività, riservammo poche e occasionali attenzioni alle definizioni locali, ritenendola con sufficienza “materia” per studiosi.

Invece, via via che negli anni procedevamo alla raccolta delle diverse cultivar, popolazioni e accessioni del germoplasma olivicolo siciliano, che da tutti gli angoli dell’isola affluiva al Campo Sperimentale sentivamo sempre più forte il bisogno di completarne l’identificazione. Avevamo sempre più la consapevolezza che la sola descrizione dei caratteri agronomici, biologici e le stesse risultanze espresse dagli oli estratti, potevano forse, ritenersi bastevoli per qualsiasi altra coltura. Ma non per l’ulivo! Avremmo certo completato un elegante quanto vistoso catalogo, zeppo di cifre, dati e ornato di fotografie, ma ahimè! Ne sarebbe uscito un arido elenco di varietà che, seppur nel rigore scientifico, sarebbe apparso freddo, distaccato e “privo di anima”. No!

Sentivamo la necessità di esternare, per i tanti anni trascorsi a curarli, a osservarli e descriverli, un doveroso riconoscimento a questi testimoni silenziosi che hanno accompagnato le vicende storico-agrarie della nostra terra fin dall’antichità. Sì, questi ulivi senza età, dai fusti smisurati e contorti, quasi un barocco vegetale vivente, avevano il “diritto” non solo a un doveroso recupero della identità genetica e della sua salvaguardia, ma anche un riesame critico delle vicissitudini storico-narrative e con esse le curiosità, gli antichi proverbi, le sinonimie ecc. che hanno impreziosito la vita di questi alberi. Proviamo a seguire un percorso partendo dal luogo di raccolta ex situ, che in questi anni è divenuta l’azienda Campo Sperimentale dell’Esa, e viaggiando a ritroso verso i luoghi dove questi alberi hanno da tempo immemorabile esteso la loro benefica influenza.

Ma prima diamo uno sguardo panoramico. L’interpretazione delle vicende evolutive delle specie sia vegetali sia animali, negli ultimi secoli è passata dalle “semplicistiche” teorie di Lamarck, con le quali si sosteneva che le condizioni “esterne” influenzassero gli organismi, incorporando modificazioni permanenti ed ereditabili; fino alle più recenti teorie di Darwin che ruppe una tradizione culturale, alienando, l’“interno” dall’ “esterno” introducendo una netta separazione tra i processi interni che generano gli stessi organismi e i processi esterni, l’ambiente, in cui operano. Così che il processo di adattamento alle richieste mosse dall’ambiente sembra stia alla base della diversificazione e della variabilità sia delle specie sia all’interno di esse.

Oggi la moderna biologia sembra più propensa a superare questa netta demarcazione fra l’interno e l’esterno e valuta con più attenzione il ruolo svolto dagli stessi organismi nel contribuire a modificare e modellare l’ambiente in cui vivono. In Sicilia la naturale conformazione orografica ha consentito alla variabilità olivicola un relativo “isolamento” coincidente con tre importanti “giacimenti” genetici, ricadenti entro i confini delimitati già nel lontano periodo arabo-normanno: val di Mazara, val di Noto e val Demone. Le difficoltà di scambio e le ridotte opportunità di comunicazione tra queste macro-aree, e spesso all’interno delle stesse, hanno per secoli protetto una ricca diversità genetica affidandone alle stesse popolazioni il compito di selezionarli e propagarli.

Un patrimonio “agronomico-architettonico”, testimoniato dalle ingegnose quanto faticose sistemazioni dei terreni più impervi e inospitali, fino alle meticolose operazioni di “slupatura”, oggi ci consentono di fruire di stupendi esemplari di ulivi secolari in piena attività produttiva. La fantasia espressa nel tempo dai nostri antichi olivicoltori nel “battezzare” le cultivar segue percorsi diversi anche se abbastanza usuali nella cultura contadina: dalla semplice indicazione di provenienza, lasciando la dicitura “nostrale” per quelle coltivate negli stessi luoghi di produzione; alle caratteristiche della forma delle drupe, dell’albero o alla destinazione. Proviamo a seguire il percorso sulla base di una vera o presunta provenienza. Tratto da Diario dell’Ulivo Saraceno di Peppino Bivona

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