
La Commissione europea
Bruxelles scommette pesante: Omnibus e Clean Industrial Deal per salvare Green Deal e imprese
La Commissione Europea scommette in modo pesante per rimettere in carreggiata il Green Deal, senza mandare al tappeto le imprese. Da un lato, il pacchetto “Omnibus”, un cocktail di proposte legislative che dà una sforbiciata epocale alla burocrazia soffocante per le aziende, soprattutto le piccole e medie (Pmi), impantanate nelle regole verdi. Dall’altro, il Clean Industrial Deal, un piano per decarbonizzare l’industria europea – quella che suda energia e quella che scommette sulle tecnologie pulite – senza farla soccombere alla concorrenza globale.
Il messaggio è chiaro: semplificare, rinviare, alleggerire. Ma guai a pensare che sia un passo indietro sul clima. Le norme sotto la lente? Pesanti pesi massimi del Green Deal: la direttiva sulla sostenibilità (Csrd), la Tassonomia degli investimenti “verdi”, la “diligenza dovuta” (Csddd) sulle catene del valore e il Cbam, il meccanismo dei dazi climatici che fa tremare chi importa acciaio, alluminio, cemento e fertilizzanti. La Commissione vuole dimostrare che si può essere verdi senza diventare rossi in bilancio.
“Omnibus”: una rivoluzione con la motosega
Il pacchetto “Omnibus” è una dichiarazione di guerra alla carta bollata. Ecco cosa bolle in pentola:
– Csrd, addio incubo: la direttiva sulla sostenibilità ambientale perde i denti per l’80% delle imprese coinvolte. La soglia minima per finire nel mirino schizza da 250 a 1.000 dipendenti, mentre fatturato (50 milioni di euro) e bilancio (25 milioni) restano fermi. Risultato? Le Pmi sotto queste cifre possono finalmente dire basta ai rapporti di sostenibilità, anche quando le grandi aziende bussano alla loro porta per chiedere dati. Un taglio netto che Bruxelles spera faccia respirare chi arrancava sotto il peso delle scartoffie.
– Rinvii a go-go: la seconda mossa è un time-out di due anni. Le grandi imprese, che dovevano consegnare i loro report a luglio 2026, e le Pmi, attese al varco nel 2027, tirano il fiato. Una boccata d’ossigeno per chi temeva di affogare nei termini.
– Tassonomia light: chi vuole investire “verde” non dovrà più sudare sette camicie. I dati da presentare crollano del 70%, e spunta una corsia volontaria per le aziende con più di 1.000 dipendenti e un fatturato fino a 450 milioni. Semplificazione, ma con un occhio alla flessibilità.
– Cbam, meno grane più risultati: il regolamento sui dazi climatici si rifà il look. Via il 90% degli importatori con un impatto minimo sulle emissioni, ma il 99% delle CO2 legate a ferro, acciaio, cemento e fertilizzanti resta nel sacco. Un colpo da maestro per tenere a bada il “carbon leakage” – la fuga delle industrie fuori Ue – senza far impazzire gli spedizionieri con controlli a tappeto.
– InvestEu, soldi sul piatto: ultimo ma non meno importante, una proposta per pompare nuovi strumenti finanziari nel fondo InvestEu. L’idea? Spingere i privati a tirar fuori il portafoglio e far girare i capitali per la transizione verde.
Non è tutto. Nella direttiva Csddd, i controlli obbligatori sulle catene del valore – quelli che le grandi aziende devono fare per rispettare le norme socio-ambientali – slittano da annuali a quinquennali. Le Pmi, poi, non dovranno più riempire montagne di moduli per soddisfare i big della filiera: meno dati, meno stress. Ma c’è un neo: sparisce l’idea di un sistema Ue unico per la responsabilità civile. Se qualcuno vuole rivalersi per danni ambientali o sociali, dovrà vedersela con le leggi nazionali. Una scelta che fa storcere il naso a chi si aspettava più unità nel mercato unico, cavallo di battaglia della Commissione.
Clean Industrial Deal: l’industria verde riparte
Se “Omnibus” è il bisturi, il Clean Industrial Deal è il motore. Il piano vuole trasformare l’industria europea senza lasciarla in braghe di tela davanti a Cina e Stati Uniti. Due i pilastri: le industrie energivore – acciaio, chimica, cemento – e le Clean Tech, le tecnologie pulite che devono trainare il futuro. Bruxelles non usa giri di parole: “Costi energetici alle stelle, concorrenza sleale e regole cervellotiche ci stanno strangolando”. La risposta è un piano a tutto tondo:
– Energia a buon mercato: un piano d’azione srotola il tappeto rosso a rinnovabili e nucleare, accelera l’elettrificazione e punta sull’efficienza per far calare le bollette di industrie e famiglie. Basta dipendere dal gas di Putin o dal carbone d’importazione.
– Made in Europe al potere: con l’Industrial Decarbonation Accelerator Act, gli appalti pubblici e privati dovranno premiare chi produce verde e chi produce in casa. Dal 2025 arriva un’etichetta di intensità di carbonio, partendo dall’acciaio e poi toccando il cemento. Un bollino per dire: “Siamo puliti, comprateci”.
– Soldi e garanzie: la Banca Europea per gli Investimenti (Bei) entra in campo con un arsenale finanziario. Spunta il “Grids manufacturing package” per aiutare chi produce componenti per le reti elettriche, e un programma pilota con controgaranzie per i Power Purchase Agreement (Ppa), i contratti di energia pulita per Pmi e industrie affamate di watt.
– Materie prime e riciclo: la Commissione tira fuori un “Centro Ue per le materie prime essenziali” per fare shopping di gruppo e strappare prezzi migliori. Nel 2026, il Circular Economy Act metterà il turbo al riciclo, con l’obiettivo del 24% di materiali “circolari” entro il 2030. Basta dipendere da fornitori lontani per le terre rare.
Non è finita. A marzo tocca all’automotive con un piano ad hoc, in primavera sarà il turno di acciaio e metalli. E poi chimica e Clean Tech: nessuno resta indietro, parola di Bruxelles.
Cbam, il jolly della semplificazione
Il regolamento sui dazi climatici è la ciliegina sulla torta. Pensato per livellare il campo tra chi produce in Ue pagando i permessi CO2 e chi importa da paesi senza regole, il Cbam rischiava di seppellire gli importatori sotto una valanga di obblighi. Ora cambia musica: il 90% di chi porta dentro acciaio o fertilizzanti con un impatto emissivo da zerbino resta fuori, ma il 99% delle emissioni resta sotto controllo. Una semplificazione chirurgica che potrebbe fare scuola, specie a fine anno, quando il Cbam sarà rivisto per allargarsi ad altri settori. Un esempio di come si può essere verdi senza far diventare grigia la vita delle aziende.
Luci, ombre e una scommessa da vincere
Il tandem “Omnibus”-Clean Industrial Deal è una scommessa pesante, come detto. Da un lato, c’è chi brinda alla liberazione dalle scartoffie e ai rinvii che danno ossigeno. Dall’altro, qualche sopracciglio si alza. Lasciare la responsabilità civile alle leggi nazionali è un assist alla frammentazione: altro che mercato unico, qui ognuno fa per sé. E poi c’è il nodo dei nodi: funzionerà? Le Pmi sentiranno davvero il sollievo? I privati metteranno i soldi sul tavolo o resteranno a guardare?
In un mondo dove la concorrenza globale morde e i costi dell’energia schizzano, Bruxelles si gioca una partita a scacchi. Vuole salvare il pianeta, ma anche le fabbriche. La strada è lunga, i pezzi sulla scacchiera sono tanti. La Commissione ha fatto la sua mossa: ora tocca alle imprese, agli Stati e al mercato rispondere. Scacco matto o stallo? Lo scopriremo presto.
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