Terrà

Lo scenario
Grano, per difendere la salute non basta solo l’etichetta ma pure la conoscenza della filiera

Il grano è il vero oro moderno. E’ una delle materie prime alla base della dieta degli esseri umani, sia nella sua forma base che in tutte le preparazioni attraverso le quali lo consumiamo: dal pane alla pasta, dalla pizza ai prodotti da forno. Il suo consumo è praticamente quotidiano e, oggi più che mai, in Sicilia è salito agli onori della cronaca per il fatto che al porto di Pozzallo è costante l’arrivo di navi straniere che portano carichi di grano da diversi paesi del mondo, principalmente Usa, Canada e Ucraina.

E’ un prodotto quotato in borsa. Sul suo andamento, e dunque sul suo prezzo, influiscono una serie di condizioni, a cominciare da quelle climatiche dei paesi produttori. L’esempio della Sicilia in questo momento è perfetto: la siccità fa calare le produzioni dei campi, l’offerta scende, salgono i prezzi, e c’è chi fa scorte all’estero per non fare rimanere a secco i mulini. Sul prezzo del grano incide, quindi, il rapporto tra domanda e offerta e presto inciderà anche l’aumento della popolazione mondiale, non rilevabile certo sul breve periodo, ma che è già uno spauracchio per le politiche alimentari internazionali.

Quello del grano è dunque un argomento di grande interesse e c’è chi in Sicilia lo studia, da un punto di vista storico, sociologico e ovviamente alimentare. Luigi Montalbano è il responsabile dell’Unità Operativa di Endoscopia Digestiva dell’Ospedale Cervello di Palermo e, negli ultimi anni, tra le altre cose, ha focalizzato la sua attenzione sul frumento analizzandolo soprattutto guardando alla sua salubrità, perché è un dato di fatto, questa incide sulla salute di chi lo consuma, nelle diverse forme in cui arriva sulle tavole.

Come analizzato da Montalbano, il grano rimane infatti uno degli elementi principali della nostra dieta. In Italia, nel 2023, ne sono stati prodotti in media oltre 50 quintali per ettaro, con differenze evidenti da nord (60/70 Q/ha) a sud (40 Q/ha). All’estero, guardando soprattutto a Usa, Canada e Ucraina, la produzione del 2023 è stata esattamente il doppio. Da cosa dipende la sua salubrità? Ovviamente anche dalle sostanze chimiche che vengono utilizzate per concimare i campi e quelle che proteggono le piante dai parassiti. Il nome su cui si basa tutto, in questo momento, è quello del glifosato, una sostanza chimica contenuta proprio negli erbicidi che vengono utilizzati per combattere le erbe infestanti sui campi, ma anche quelli che vengono utilizzati nel giardinaggio e nella manutenzione autostradale e ferroviaria, per eliminare le erbe infestanti.

La molecola del glifosato è stata introdotta nel mercato mondiale nel 1974 e da quel momento ad oggi ne sono state spruzzate sui campi 9 milioni e mezzo di tonnellate. Nel 2015 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Airc) classificava il glifosato come “probabilmente cancerogeno”, pochi mesi dopo arrivava invece il parere dell’Efsa (Autorità Europea sulla sicurezza alimentare) che lo definiva invece come “probabilmente non cancerogeno”. Sul tema all’epoca era intervenuta anche Greenpeace, che si era così espressa “se la valutazione dell’Efsa è basata in parte su studi riservati commissionati dagli stessi produttori di glifosato la valutazione Iarc è basata esclusivamente su dati scientifici pubblicamente accessibili”.

Il sapore autentico del grano italiano, quello che nasce e cresce nel nostro Paese, deve la sua unicità al fatto che le leggi italiane, dal 2016, non consentono che venga coltivato con l’utilizzo di glifosato. Il decreto del ministero della Salute del 9 agosto 2016 ne regola infatti l’utilizzo e lo vieta sopratutto in fase di pre-raccolta e nelle aree verdi frequentate dalla popolazione. La stessa legge però non viene applicata nel resto del mondo e, in Europa, nel 2022 l’Echa  (l’Agenzia per le sostanze chimiche dell’Unione) ha ribadito che, “dopo la valutazione di un ampio volume di studi scientifici, la classificazione del glifosato come cancerogeno non è giustificata” tanto che al momento l’Unione Europa ne ha autorizzato l’utilizzo fino al 2033.

Le analisi sulle paste italiane, anche quelle più blasonate, dicono che in quello che mettiamo a tavola c’è del glifosato e questo dipende dal fatto che i grani italiani spesso vengono miscelati con grani provenienti dal resto del mondo che ne contengono dei residui. Il principale esportatore è il Canada, dove l’uso massiccio di glifosato è ammesso sia per eliminare le erbe infestanti nel terreno sia per accelerare l’essiccazione del frumento. Ma la minaccia arriva anche da altri prodotti che vengono utilizzati, a cominciare dalla fosfina, disinfestante che contrasta gli attacchi da parte di parassiti, insetti e muffe, e ancora, quando si parla di pane, dagli additivi chimici che vengono utilizzati al posto del lievito naturale.

La Sicilia, sta portando avanti una battaglia sul suo grano, per fare si che ne venga sempre garantita la salubrità, puntando al riconoscimento del marchio Dop, per la pasta di grano duro, un percorso che prevede una riduzione del 70% delle soglie definite dalla legge e riferite al contenuto in micotossine, per una filiera con oltre 300mila ettari di terreno coltivato a frumento ai quali si aggiungono i 45mila coltivati in regime di agricoltura biologica.

La consapevolezza dei consumatori diventa dunque un’arma fondamentale per la tutela della salute collettiva. Non basta più, quindi, solo sapere leggere le etichette dei prodotti che si comprano, ma diventa necessario conoscere la storia della filiera che c’è dietro i prodotti che acquistiamo.

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