Terrà

La storia insegna
Venti di guerra sulla prossima campagna granaria, ma in Sicilia serve barra dritta sulla qualità

di Giuseppe Russo*

I venti di guerra si abbattono sui campi di cereali coltivati tra la Russia e l’Ucraina e, inevitabilmente, anche sulla nostra prossima campagna granaria. Probabilmente a breve i porti di Rostov e di Odessa, anche a causa del blocco delle transazioni SWIFT, non potranno più alimentare il flusso di navi che riforniscono oramai stabilmente da diversi anni anche i nostri mercati. E sebbene Ucraina e Russia siano fondamentalmente produttori di grano tenero e mais (un terzo della produzione cerealicola mondiale si concentra in quest’area), ci si aspetta che la riduzione della disponibilità di cereali su scala globale influenzerà in qualche modo anche i mercati e i prezzi degli altri cereali e tra questi il grano duro.

Porto di Odessa (wikimedia)

Sulla nostra prossima campagna granaria si gettano quindi nuove ombre di incertezza. Già le persistenti piogge di novembre e dicembre hanno costretto i nostri cerealicoltori a trovare soluzioni di ripiego sulle semine, e nei casi peggiori a rinunciare alla coltivazione. In più l’ulteriore aumento dei prezzi dei concimi, del costo dei carburanti e del chilowattora, che si sommano a quelli già registrati lo scorso anno, ci proiettano verso un futuro prossimo in cui grano duro, il pane, la pasta e gli sfarinati, faranno registrare ulteriori aumenti nel paniere dei nostri acquisti. In un contesto nel quale l’umanità comincia a sospettare che dopo l’era delle mascherine anti-Covid-19 bisognerà cominciare ad abituarsi a nuovi scenari apocalittici, nel quale ahimè le morti si piangono a qualche centinaio di chilometri da casa nostra, ci si chiede quanto senso abbia continuare a puntare su coltivazioni di grano senza glifosate, senza micotossine, tutelare la biodiversità dei grani antichi, o il biologico.

In un contesto, nel quale il prezzo del grano duro si prevede in forte rialzo, con una decisa tendenza alla ricerca di quantità, che senso daranno invece i nostri cerealicoltori alle scelte colturali tese a sostenere una cerealicoltura di qualità? Un esempio tra tutti: qualche settimana fa si è costituito a Palermo il Consorzio di Tutela e Valorizzazione del Grano Duro Qualità Sicura certificato della Regione Siciliana, promosso da un gruppo di giovani agricoltori e imprenditori siciliani; quali motivazioni avranno questi giovani imprenditori nel sostenere produzioni di grano duro e derivati nel rispetto di un rigido disciplinare che punta a produzioni di grano duro di qualità tecnica ed igienicosanitaria superiore, in un contesto nel quale il mercato globale sembra orientato a premiare produzioni di massa? Le risposte qualcuno potrebbe trovarle nella storia, osservando che dopo ogni guerra c’è sempre una ripresa economica e in virtù di questa non bisogna distrarsi dall’impegno di sostenere lo sviluppo e il miglioramento continuo dei nostri processi produttivi.

Farci incantare da un rialzo congiunturale del prezzo del grano, in risposta agli eventi bellici, sarebbe rischioso

Approccio pragmatico, corretto, ma è necessario andare oltre. Come sosteneva uno dei più grandi pacifisti della nostra storia contemporanea, ciascuno è “chiamato a essere il cambiamento che desidera vedere nel mondo” e questo va al di là degli orrori della guerra, o delle promesse generate da un mercato viziato dagli eventi bellici. Tutti gli sforzi tesi a costruire un sistema cerealicolo moderno, che risponde alle esigenze dei consumatori del terzo millennio, è strada che è stata percorsa a costo di sacrifici, di intelligenze spese e di tempo dedicato a migliorare non soltanto la singola filiera cerealicola, ma in generale il contesto socioeconomico nel quale viviamo. Farci incantare da un rialzo congiunturale del prezzo del grano, in risposta agli eventi bellici, sarebbe rischioso. Speriamo che presto tutta l’umanità tornerà a coltivare oltre la pace anche la ricerca della bellezza e della verità e così, per dirla con Jim Morrison, “un giorno anche la guerra si inchinerà al suono di una chitarra” e, aggiungiamo noi, alla bontà di un piatto di spaghetti al pomodoro e alla dignità di chi ha prodotto le sue materie prime di qualità.

*Ricercatore Consorzio di ricerca “Gian Pietro Ballatore” giusepperusso@ilgranoduro.it

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