Terrà

Il frumento, la madia e la fatica della donna

É noto a tutti che nel passato il pane costituiva per la maggior parte dei siciliani l’alimento base della giornata. Come altrove, la disponibilità di una riserva di frumento sufficiente per tutto l’anno era il segno più evidente di un certo benessere della famiglia, o quanto meno del fatto che non pativa fame e miseria. I modi della sua preparazione si ritrovano spesso descritti in pubblicazioni specifiche o sulla Rete, data anche la memoria recente e l’ancora più recente diffusa volontà di conservarla, oltre una certa moda di preparare il pane con lievito a pasta madre nei forni domestici di oggi.

Non è il caso di appesantire ulteriormente i lettori con articoli che descrivono le fasi di lavorazione di un tempo e che si leggono facilmente dappertutto ogni giorno, se non ricordando almeno in questo quanto fosse faticoso e impegnativo per le donne di casa alzarsi nei giorni di panificazione al mattino presto, mettere la madia sui trespoli e cominciare un lavoro che finiva nel tardo pomeriggio, con poche soste in cui dovevano fare altro. Un fare che andava necessariamente imparato, nel curare il lievito, misurare quantità e dosi, allenare le braccia per scavare coi pugni, impastare, riscaldare il forno fino alla giusta temperatura, pulirlo, mettere dentro i pani e tirarli fuori. E molte altre cose da fare ancora se voleva anche approfittare del forno caldo per guastedde, focacce, biscotti… fino al primo assaggio di pane fresco. Di quel sapere, dei significati dei segni sul pane, del suo lento lievitare al caldo delle lenzuola e delle coperte, e di molte altre cose, è stato scritto molto, scritto soprattutto di recente, quando nel contrasto con la disponibilità facile e quotidiana del pane nei negozi è stata forse, con un certo rimorso, meglio compresa la fatica e insieme l’abilità delle donne di molte generazioni.

(Tratto dal libro “Cucina e gastronomia dei Nebrodi” di Pietro Ficarra)

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