Terrà

A merenda, a tavola e in cucina: l’onnipresente ficodindia

Frutto simbolo della Sicilia, e non solo per le fotografie del paesaggio, sono i fichidindia, che a maturazione avvenuta deliziano il palato dei siciliani e non meno di quello dei turisti. La pianta è – soprattutto nel periodo in cui si offre alla vista con i suoi frutti, come in questo inizio di autunno – un’iconica cartolina della Sicilia, anche se cresce spontanea in tutto il bacino del Mediterraneo e in Italia nelle regioni centromeridionali con presenze fino alle coste liguri. In Sicilia i fichidindia sono più che una semplice pianta da cui raccogliere facilmente buoni frutti. Oggi i nostri fichidindia si ritrovano facilmente e per un periodo abbastanza lungo – da agosto a gennaio e oltre – anche nei mercati e nella GDO, mentre un tempo si conservavano per l’inverno solo nelle regioni più meridionali solo attaccati alle “pale” e appesi al riparo.

In famiglia vengono per lo più consumati come una volta, freschi, a tavola, a merenda o anche appena colti al mattino, considerato che la tradizione li vuole mangiati anche col pane (per evitare lo spiacevole effetto “tappo” dei semi). Costituiscono ancora oggi infatti ottime colazioni, ma senza più l’angoscia di essere per molti l’unica possibile (anche l’unico pranzo talvolta), come avveniva ancora nell’ultima società contadina a scomparire da queste nostre parti. In molte zone dell’Isola, i fichidindia rimangono nelle abitudini culinarie delle famiglie per alcune preparazioni che vengono direttamente dal passato, seppure in forma residuale, ma sono oggi offerti freschi a fine pasto anche nella ristorazione tipica. La cosa sembrava impossibile fino a poco tempo fa.

Col succo dei fichidindia che si ricava dalla cottura della polpa si preparano ancora oggi, per lo più in casa ma andrebbe bene anche per la ristorazione tipica, caratteristiche mostarde, simili a quelle che nelle stessa stagione si preparano col mosto della vendemmia, ma di sapore assai diverso. Usata la farina o l’amido come addensante e aromatizzate con vaniglia, cannella o buccia di limone, si possono servire anch’esse al piatto decorate con granella di mandorle o nocciole tostate. La mostarda, in modo particolare per la gente dei Nebrodi, è il familiare prodotto cremoso da mangiare a cucchiaio, ricavato con una lenta e paziente cottura e trasformato in una sorta di buonissima crema, da servire per lo più nel piatto o in tazza, anche al momento, come un morbido e antico budino. Le marmellate e le confetture, per non parlare d’altro, erano un tempo per pochissimi e solo tardi, col crollare del prezzo dello zucchero, sono entrate anche da queste parti nella cucina quotidiana di tutti.

Prima c’erano le tipiche “mostarde” e il dolce si otteneva soltanto dalla conservazione, per essiccazione o tramite qualche altro procedimento, di quei pochi frutti che rendevano quel sapore, come ad esempio fichi e fichidindia. Le mostarde di fichidindia si preparano ancora, a differenza di quelle di mosto, anche per un uso differito, che un tempo arrivava all’inverno o almeno a Natale. Lasciate addensare e raffreddare, le mostarde si tagliavano a rombi o a rettangoli e si lasciavano poi asciugare per bene all’aria sui graticci di canne. Si consumavano quando il sole e i fichidindia non c’erano più, dolci, gommose ed elastiche ai denti, si davano soprattutto ai bambini ma non erano meno apprezzate dai grandi. Oggi si ritrovano ancora sui banchi dei mercati tradizionali mostarde di fichidindia, ma sono quasi esclusivamente quelle preparate in altre parti della Sicilia interna, a cominciare dal Catanese etneo, che non gli assomigliano molto.

Come è noto di questa pianta simbolo, oltre al frutto, vengono consumati in cucina anche le bucce, i fiori e le pale (botanicamente cladodi), le toppe, in vari modi. Per commistione e nelle aree più a contatto con il resto della Sicilia permangono anche sui Nebrodi – ma qui e là, o come abitudine individuali – quelle usanze che vogliono le bucce e le “pale” più tenere, entrambe passate nel pangrattato e fritte nell’olio bollente, come del resto la preparazione di liquori casalinghi, artigianali, che si possono preparare coi fichidindia e che somigliano a quelli più diffusi nelle altre provincie.

(Tratto dal libro “Cucina e gastronomia dei Nebrodi” di Pietro Ficarra)

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