Terrà

Parla Pietro Colosi
Dal rumore delle bottiglie ai vigneti di San Michele: la nascita di un enologo

di Giacomo Alberto Manzo*

Originario di Messina, ha studiato viticoltura ed enologia a San Michele all’Adige. Oggi, trentaduenne, l’enologo Pietro Colosi gestisce la produzione nelle omonime Cantine con la sua famiglia. Seleziona le uve con cura, combinando analisi chimiche e sensoriali. Ed è convinto che oggi le principali sfide da affrontare sono l’adattamento ai cambiamenti climatici e le nuove preferenze dei consumatori.

Colosi, quale strada l’ha condotta all’enologia?

“Penso che la mia scelta di vita sia stata dettata da quelle che sono state le mie origini. Sono nato nel mondo del vino così come mio padre e come ancora prima mio nonno. La nostra cantina era strutturata proprio sotto casa e il rumore delle bottiglie sul nastro trasportatore mi ha accompagnato durante la mia adolescenza. Mi piace ricordare due esperienze piacevoli durante il mio percorso formativo. La prima nel 2012, quando nella cantina sperimentale di San Michele all’Adige ho avuto modo di conoscere uno degli enologi più importanti della viticoltura trentina, Enrico Paternoster, che mi ha affascinato con le sue diverse tecniche di vinificazione in bianco a cui devo molto per la mia crescita professionale; l’altra esperienza l’ho fatta l’anno successivo, questa volta nel cuore della mia terra, in compagnia di Laura Orsi, enologo di Tasca D’Almerita dove ho avuto la possibilità di capire l’importanza di un lavoro basato sullo spirito di squadra. Poi, finiti gli studi, tornai a casa per dar vita al mio sogno”.

Pietro e Piero Colosi

Quali sono le sue principali responsabilità professionali?

“Principalmente, organizzare tutte le varie fasi tecniche dei vini. Essendo una azienda familiare, dove ogni componente ha competenze diverse, è determinante più che mai fare squadra. Una squadra capitanata da papà Piero a cui non sfugge nulla affinché tutto vada nel migliore dei modi. Vinifichiamo, produciamo e imbottigliamo vino ottenuto da uve autoctone siciliane coltivate nei comuni più vocati della nostra isola. La nostra sede operativa è a Giammoro nel comune di Pace del Mela (Messina) mentre la nostra ‘punta di diamante’ rimane l’isola di Salina, nell’arcipelago delle Eolie, dove dal 1984, prima nonno e dopo papà, hanno acquistato terreni destinati alla produzione delle uve e alla vinificazione”.

Come sceglie le uve per la vinificazione?

“La selezione delle uve è un compito molto delicato, poiché è la principale fase per arrivare a un vino di qualità. Si parte col scegliere con cura le uve e/o varietà in funzione del contenuto zuccherino/acidità, oltre al contenuto in polifenoli per le uve rosse. Il tutto viene controllato all’interno del nostro laboratorio di analisi. A volte è sufficiente la sola analisi gustativa e visiva delle uve per individuarne l’andamento della maturazione. Fase questa importante per determinare l’epoca di raccolta e/o vendemmia, e organizzare i lavori nel reparto di vinificazione. La mia ‘filosofia’ è vinificare nel più breve tempo possibile le uve appena raccolte”.

Quali sono le sfide più comuni?

“Si potrebbe produrre una lunga lista, ma forse è proprio questo il bello del nostro lavoro che tuttavia, negli ultimi anni, è cambiato molto. Prima il nostro operato terminava quando la bottiglia era confezionata e spedita al cliente, oggi forse questo punto rappresenta addirittura solo l’inizio. I consumatori sempre più attenti e curiosi di conoscere quello che c’è dietro una bottiglia di vino, hanno contribuito a rivoluzionare il sistema. Di conseguenza, oggi i produttori sono diventati anche dei comunicatori, devono saper raccontare quello che producono, trasmettendo soprattutto l’identità del territorio. Vorrei aggiungere…”.

Prego.

“Da sottolineare è il cambiamento climatico degli ultimi anni che sta mettendo a dura prova il nostro lavoro, con stagioni sempre più calde, piogge sempre più scarse e molte volte in periodi dell’anno sbagliati. Per non parlare delle malattie crittogame sempre più difficili da debellare, soprattutto se si cerca di attuare un regime di coltivazione biologico”.

Dove va il mondo del vino?

“Oggi il modo di bere vino è cambiato molto, sarà perché sono cambiati i gusti, sarà perché sono cambiati i consumatori ma un fatto è certo: oggi sono sempre più giovani coloro che si è avvicinano al mondo del vino, di conseguenza il gusto e la scelta subiscono un continuo cambiamento, costringendo il mercato a cercare nuovi prodotti. Prima si prediligevano vini molto strutturati, ottenuti da uve surmature con una beva più pesante; oggi, invece, le tre parole chiave per conquistare il gusto dei consumatori sono freschezza, mineralità ed eleganza. Un esempio per tutti: vini meno alcolici, con PH più bassi, delicati ma allo stesso tempo longevi”.

Rapporto tradizione e innovazione?

“Ritengo che oggi la tecnologia in cantina dà la possibilità di riuscire a stravolgere i vini, ma la vera qualità la si fa nel vigneto e non tanto in cantina”.

Un vino che preferisce?

“Ovviamente mi è capitato spesso di bere vini migliori di altri, ma posso dire con assoluta certezza che ho degustato sono quelli che mi hanno trasmesso e fatto vivere emozioni. Apprezzo molto i vini francesi della Borgogna, quelli trentini, piemontesi ma amo i vini ottenuti da uve coltivate su terreni vulcanici, scelta che condivido con mia moglie”.

Come valuta la qualità di un vino?

“E’ vero che esistono dei parametri tecnici che ci consentono di valutare la qualità complessiva di un vino. Penso, però, che con questa attuale enologia, eterogena, ricca anche di vini non convenzionali, la vera valutazione sia data dalla piacevolezza e dalle emozioni che ti lasciano. In pratica, quando il vino riesce a farti venire la ‘pelle d’oca’ al primo sorso, e quindi sei invogliato ancora a bere”.

Qualche consiglio a chi vuole diventare un enologo?

“Gli enologi, innanzitutto, non bastano mai. Basti pensare che l’Italia è l’unico paese del mondo ad avere il 98% della biodiversità, è il paese più eterogeneo del mondo con caratteristiche pedoclimatiche uniche e variegate. Il made in Italy, marchio maggiormente riconosciuto a livello mondiale, vede l’alimento e il beverage al primo posto, e proprio per questo noi tutti dobbiamo impegnarci per mantenere tale questo primato. Ciò premesso, più che consiglio, vorrei dire agli aspiranti enologi che questo lavoro ha come pilastro principale la passione, l’amore per la vigna, oltre alla professionalità. E questo, spesso, vuol dire fare rinunce anche a discapito della vita familiare”.

*Enologo

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