Terrà

L'intervista
Il pomo della discordia, il valore etico e morale del termine “naturale” nel vino

Sono pessimista sulla sorte della razza umana perché essa ha troppo più ingegno di quanto ne occorra al suo benessere. Noi ci accostiamo alla natura solo per sottometterla. Se ci adattassimo a questo pianeta e lo apprezzassimo, invece di consideralo in modo scettico e dittatoriale, avremmo migliori probabilità di sopravvivere (Elwyn Brooks White)

Lo diciamo subito, tanto per sgombrare il campo dagli equivoci: il termine “naturale” appiccicato al vino, tecnicamente, ci piace poco: non per motivi ideologici, oppure per presunzione professionale oppure, peggio, per preconcetto. Niente di tutto questo. Il motivo è invece etico e semantico, al tempo stesso, e cercheremo di spiegarlo. Chiariamo anche però che, secondo noi, il fenomeno dei vini naturali ha il grandissimo merito di fare una resistenza vera sulle tematiche ambientali, intesa come strenua difesa del territorio e della sua biodiversità, vero tesoro da conservare e trasferire integro alle generazioni future: quindi questa nota, con il contributo fondamentale di Franco Giacosa, vuole partecipare al dibattito in modo costruttivo e non polemico, concorrendo semmai alla comprensione del fenomeno nei suoi aspetti più profondi.

Franco Giacosa

Caro Franco, dammi un tuo personale significato della parola “naturale”. Hai un sinonimo da proporre, se lo ritieni necessario, se non altro per chiarezza del consumatore?

“Il termine naturale mi riporta ad un vino ottenuto nel massimo rispetto dell’ambiente, frutto di un lavoro cosciente dell’uomo che coltiva la vigna in un terreno vocato dove la vite può crescere sana, esprimere le caratteristiche del suolo e del clima senza il ricorso ai concimi chimici, ai pesticidi di sintesi e ai diserbanti chimici. La parola natura ha la sua origine semantica nel participio del verbo latino nasci (nascere): esso indica ciò che approda all’esistenza per maturare nel divenire futuro, secondo modalità nell’uomo in parte necessarie (sviluppo fisico e psichico) e in parte libere (progresso etico). In greco, natura viene resa col termine physis che richiama il concetto di crescere, ma anche produrre: per il duplice significato di physis ricordato (crescere e produrre), naturale non si pone necessariamente in opposizione ad artificiale. Natura e artificio costituiscono una coppia filosofica, un binomio quasi simbionte in cui un termine richiama l’altro e il significato preciso dell’uno dipende dalla comprensione che si ha dell’altro”.

Naturale è contrapposto ad artificiale: è veramente così?

“Non direi che naturale si contrappone ad artificiale ma certamente è in antitesi a un prodotto elaborato, perfetto dal punto di vista estetico e durata di scaffale, ma che necessariamente subisce chiarifiche, correzioni, stabilizzazioni, ecc. pur ammesse dalla normativa in materia. Ciò che però qui è rilevante ai fini della nostra riflessione non è tanto seguire tutto l’itinerario semantico dei due termini naturale e artificiale, ma esaminare la ricaduta che il termine natura ha nell’ambito dell’etica, attraverso l’espressione correlata di legge naturale. Ci viene in aiuto il volume Cos’è il naturale. Natura, persona, agire morale che ripropone le lezioni tenute da Robert Spaemann nel corso del decimo ciclo della Scuola di Alta Formazione Filosofica a Torino. Niente nella storia dell’umanità ha così allargato la portata delle azioni umane come l’ampliamento delle nostre conoscenze delle leggi della natura. La naturalità è inoltre una specie di criterio estetico rispetto al giudizio delle azioni. Ad azioni che approviamo per altre ragioni diamo un nostro particolare plauso qualora diano l’impressione di essere naturali, cioè quando esse ci sembrano giungere da un impulso spontaneo. E noi tutti di solito ci teniamo molto di più ad assicurarci questo plauso estetico piuttosto che non quello propriamente morale. Ha senso e, se lo ha, quale senso ha, utilizzare parole come natura o naturale in relazione al giudizio rispetto alle azioni umane? La nostra posizione in riferimento a questa domanda è contrassegnata da un profondo conflitto tra il common sense morale e i paradigmi dominanti in riferimento alla visione del mondo. Nel nostro utilizzo quotidiano del linguaggio senza dubbio parole come naturale o innaturale hanno una funzione morale”.

Esiste un valore etico nel termine naturale? E ancora, per te il termine naturale assume una sua valenza etica, per l’ambiente, per il cibo, per l’uomo, per la resilienza, oppure per cosa?

“Certo, credo che il termine naturale sia una estrema sintesi per la comunicazione anche di valori etici legati a un vino. Ad esempio, oltre al rispetto dell’ambiente (suolo, corsi d’acqua, aria, biodiversità) evoca anche l’osservanza delle norme di sicurezza e il rispetto delle condizioni di lavoro per i collaboratori del viticoltore e del cantiniere. Quindi, solo i vini naturali contemplano i valori di genuinità, etica, coerenza? Lo spunto ci viene da un articolo di Alice Feiring, giornalista americana, da diversi anni editorialista di vini e viaggi per la rivista Time, nota come sostenitrice del vino naturale e autrice di Naked wine (Letting Grapes Do what comes Naturally) e soprattutto del recente (2019) Natural Wine for the People. Nel pezzo apparso nel dicembre scorso sul New York Times dal titolo Il vino naturale è morto? la Feiring osserva, non senza polemica, che il mondo del vino naturale, costruito su onestà e semplicità, sta per essere corrotto da opportunisti”. Scrive la Feiring…’Per quelli di noi che da tempo spingono il vino ottenuto da uve biologiche come unico ingrediente, questa mania “naturale” dovrebbe essere un grande momento di trionfo … Ma qualsiasi movimento di successo, sia in politica che in viticoltura, è vulnerabile alla corruzione. Proprio mentre sta raggiungendo il massimo della fama, il mondo in precedenza innocente del vino naturale è minacciato da opportunisti e grandi imprese. Il vino naturale non è morto, ma qualcosa è andato perso… Come al solito, i social media stanno tirando fuori il peggio delle persone e il loro ego’.

Una domanda scomoda. Il mondo dei produttori naturali deve guardarsi dai ciarlatani, come paventa la Feiring? E’ un rischio reale o ve ne sono di peggiori?

Per quello che ho notato in questi ultimi anni, l’infiltrazione di millantatori o comunque di produttori che possano far perdere la credibilità dei vini “naturali” è una delle costanti preoccupazioni per i viticoltori seri che cercano di smascherarli e di isolarli. Penso ad alcuni vini sottoposti all’analisi chimica che presentavano tracce di pesticidi non ammessi. I produttori di quei vini sono stati allontanati senza indugio dall’associazione di cui facevano parte. Per queste ragioni, chiosando la Feiring, ci sentiamo di affermare che il vino naturale non è morto e non è nemmeno in crisi: semmai è il termine naturale che non è mai diventato patrimonio culturale di tutti (valore etico) ma è stato percepito quale tratto elitario di pochi, anche se onesti e irreprensibili vignaioli, purtroppo alla mercé delle mode (e degli opportunisti). Questa parola ha avuto, inaspettatamente, un successo molto rapido, seppure astratta e fuorviante del suo vero significato: ovunque nel mondo in meno di 30 anni, soprattutto tra i giovani alla ricerca di una migliore armonia nello stile di vita e nel modo di produrre cibo e vino, è diventata una vera icona. In realtà, questo movimento del vino naturale, in un certo senso, fa già parte della storia e rimarrà di esempio per le future generazioni per il ritorno all’autenticità, ai valori etici, al cibo più salubre, al rispetto dell’ambiente, ad armonie interiori, amicizie. Non è poco, anzi è una vera e propria rivoluzione epocale che coinvolge il mondo intero e rappresenta, come detto in premessa, il grandissimo merito di questo fenomeno: fantastico approdo, dopo diversi decenni di oblio, dei principi base delle buone pratiche colturali che ha costretto il mondo viticolo a confrontarsi con concetti quali perdita di capacità di uso dei suoli, desertificazione, inquinamenti ambientali, perdita di biodiversità, conseguenze sulla salute di operatori e consumatori.

Ma quando al termine naturale si vuole attribuire il significato che il vino non è stato modificato dall’uomo, non solo si mente ma si stravolge il significato etico del termine che invece implica il fatto che quel vino è stato prodotto con cure professionali tali da non determinare modificazioni, e quindi senza tradimenti (del terroir, della biodiversità, delle tradizioni del luogo, della cultura contadina, del gusto, della salute… e di tutti gli altri valori etici). Con il mondo che sta sull’orlo di molteplici disastri, la battaglia in difesa del vino naturale potrebbe sembrare una questione anacronistica, se non una missione da elitari pazzi o radical chic. Come afferma la Feiring, ‘…tutte le persone mangiano, ma non tutte bevono, quindi non tutte partecipano all’idea del vino come simbolo magico e duraturo dell’umanità‘: ma questo è in parte il fascino, per noi, del vino naturale, come pura e ingenua espressione di onestà, artigianato, cultura, poesia, difesa del paesaggio e al tempo stesso riconoscimento che ogni vino proviene da un luogo diverso e, per questo motivo, assolutamente originale. Ecco perché anche le persone che non lo bevono dovrebbero capire perché gli sforzi di mercificazione e riduzione del prezzo del vino naturale sono così offensivi. Un prodotto su misura per i gusti percepiti di largo consumo non può mai portare in sé quegli eloquenti elementi intangibili: insomma, non può essere quell’espressione di sincera umanità che invece il vino naturale dovrebbe tenere come obiettivo prioritario”.

Conclude Giacosa “…l’esperienza di questi ultimi 10 anni ci dice che facendo un buon lavoro in vigna e dedicando una attenta cura nelle varie fasi di vinificazione e di conservazione dei vini, è possibile assicurare dei prodotti tecnicamente ineccepibili. Operando in questo modo la dicitura “naturale” in etichetta ha un senso e un grande valore, anche a costo di qualche rischio di percorso. Ma chi non rischia…”

Giovanni Colugnati Giuliana Cattarossi, Colugnati & Cattarossi, capofila ATS AGROECOLOGIA

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