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Il progetto Coryne
Igp e Unesco: la lunga strada delle nocciole siciliane per riconquistare il ruolo di protagoniste dell’agroalimentare

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di Dario Cataldo

Le nocciole siciliane tornano al centro del dibattito agricolo ed economico con una sfida ambiziosa: ottenere l’Indicazione Geografica Protetta (IGP) e rilanciare una produzione che per secoli ha caratterizzato il territorio specifico, quello dei Nebrodi. Il percorso promosso dal GAL Nebrodi Plus, che ha avviato un’animazione territoriale per sensibilizzare produttori e istituzioni, rappresenta il primo passo di una rinascita che non è solo economica, ma anche culturale e sociale. Le nocciole siciliane, un tempo chiamate “l’arancio della montagna” per il loro valore nelle economie rurali, oggi affrontano un periodo di transizione in cui la valorizzazione del prodotto può trasformare un settore in difficoltà in un nuovo motore di sviluppo.

I numeri parlano chiaro: il mercato delle nocciole è in crescita. Secondo l’ultimo report Ismea, il segmento ha registrato un incremento della produzione con un giro d’affari di 296 milioni di euro, mentre nel mercato interno la domanda è in forte ascesa con una crescita del 14,7% in un solo anno. La tendenza di consumo si riflette nella crescente presenza della nocciola nei prodotti alimentari, dalle creme spalmabili agli snack, confermando un trend positivo che potrebbe aprire nuove opportunità ai produttori siciliani. Tuttavia, il paradosso è che, nonostante l’incremento della richiesta, le nocciole dei Nebrodi restano ai margini del mercato, soffrendo la concorrenza di colossi come il Piemonte e la Turchia. Per invertire questa rotta, l’ottenimento della certificazione IGP rappresenterebbe un passo decisivo.

Un marchio di qualità consentirebbe di proteggere e valorizzare il prodotto, garantendo una maggiore riconoscibilità e un accesso privilegiato ai mercati nazionali e internazionali. Ma la strada è irta di ostacoli: il settore è frammentato, i costi di produzione elevati e le difficoltà logistiche dovute alla conformazione del territorio rendono la meccanizzazione quasi impossibile. Il risultato è un progressivo abbandono delle coltivazioni, con la perdita di un patrimonio che potrebbe invece costituire un’opportunità unica per l’economia locale e in generale, per tutta la Sicilia. Il 2023 ha segnato un anno nero per la produzione a causa delle avversità climatiche, con un raccolto praticamente azzerato.

Cimice asiatica

Eppure, come spesso accade in agricoltura, anche una cattiva annata può avere effetti inaspettatamente positivi: la drastica riduzione del raccolto ha portato a una diminuzione della popolazione di ghiri, nemici naturali delle nocciole, lasciando presagire una ripresa più vigorosa che poi c’è stata l’anno seguente. Ma la minaccia non è solo faunistica: la cimice asiatica rappresenta un’altra incognita per i produttori, con il rischio di danneggiare fino al 30% del raccolto. Per contrastare il fenomeno, il PSR Sicilia 2014/2022, mediante la sottomisura 16.1 ha finanziato il progetto “Coryne”, un’iniziativa di lotta biologica che prevede l’introduzione di insetti antagonisti per contrastare la diffusione della cimice.

Un segnale che il settore sta cercando di reagire, affidandosi a soluzioni innovative per garantire la sostenibilità della produzione. Ma le ambizioni vanno oltre la salvaguardia della coltura. L’idea di ottenere il riconoscimento Unesco per la corilicoltura dei Nebrodi è un progetto che potrebbe dare un valore immateriale e simbolico alla produzione di nocciole, inserendola a pieno titolo tra le tradizioni agricole più significative d’Italia.

La manualità con cui ancora oggi si raccolgono e si curano le piante, dovuta alla difficile morfologia del territorio, è un’eredità culturale che merita di essere tutelata. Un riconoscimento del genere non solo promuoverebbe la corilicoltura siciliana su scala globale, ma attirerebbe anche l’attenzione su un modello agricolo sostenibile, capace di coniugare tradizione e innovazione. La sfida per le nocciole siciliane è dunque aperta: tra difficoltà economiche, sfide climatiche e prospettive di rilancio, il settore è chiamato a fare squadra per trasformare una produzione storica in un’eccellenza riconosciuta e competitiva. La speranza è che il 2025 possa davvero segnare quella tanto attesa inversione di tendenza, restituendo alla Sicilia un prodotto che, per storia e qualità, merita di essere protagonista del panorama agroalimentare nazionale ed europeo.

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