Terrà

L'intervista
I cultori del vino ‘naturale’ non mollano. Norme e pratiche alimentano il confronto. Parla l’esperto

Direttore tecnico della Duca di Salaparuta dal 1984 al 1997 e successivamente del gruppo Zonin fino al 2011, Franco Giacosa è un enologo di fama da anni impegnato nell’universo naturale. La sua competenza e la sua autorevolezza ci hanno stimolato una chiacchierata per un confronto di idee, scevro da preconcetti ed orientato a ragionamenti tecnici e chiarimenti. Il recente parere della Direzione generale agricoltura e sviluppo rurale (DG AGRI) dell’UE sull’uso in etichetta del termine “naturale”, contrario al diritto dell’UE, perché ritenuto ingannevole nei confronti del consumatore in quanto non conforme alla disciplina vitivinicola dell’UE e alla disciplina UE sull’informazione al consumatore pone qualche problema in più.

Franco Giacosa

Giacosa, tuttavia, a questo proposito è chiaro: “Ritengo che il termine naturale tecnicamente sia molto discutibile e che possa essere abusato in danno dei consumatori ma anche dei produttori seri. E’ tuttavia una dicitura molto comunicativa che rende giustizia a tutti coloro che in vigna e in cantina operano con grande impegno per andare oltre a quanto stabilito dalla normativa vigente sui vini biologici”. Formalmente, un vino naturale viene prodotto da uve biologiche (o anche biodinamiche), mediante fermentazione spontanea del mosto, senza aggiunta di altre sostanze, fatta eccezione della quantità di anidride solforosa prodotta naturalmente durante il processo di vinificazione (di norma tra 0 e 20 mg/lt.), vietando il ricorso a qualsiasi coadiuvante enologico, considerato invasivo.

Considerato che il vino è un prodotto dell’uomo, la definizione stessa di vino naturale è di per sé stessa ambigua e, infatti, non esistono regole ferree che stabiliscono cosa sia il vino naturale, né organismi che ne certifichino l’applicazione, e neppure non esistono regolamenti ufficiali (come invece nel caso dei prodotti biologici e biodinamici). L’ambiguità è anche dovuta al fatto che l’uso comune della parola naturale implica, di fatto, qualità e genuinità, che spesso sono tutte da dimostrare: proprio per questi motivi, sostiene ancora Giacosa ”il termine naturale può avere efficacia solo a condizione che sia tutelato da un serio disciplinare di produzione e sottoposto a rigidi controlli. In caso contrario è meglio che venga vietato”.

Vini biologici, biodinamici, naturali

La dicitura vini biologici è stata introdotta dall’apposito Regolamento europeo 203/2012 ed è certificata da organismi accreditati a livello degli stati membri, mentre fino ad allora esisteva unicamente la certificazione delle uve, che non riguardava la vinificazione. I vini biologici provengono da uve ottenute senza l’uso di erbicidi e pesticidi, essendo ammessi solo quelli a base di solfato di rame e zolfo per proteggere le viti dalle crittogame: sono però permessi l’utilizzo di tecnologia e l’automazione sia in vigneto che in cantina. Anche se l’uso dell’anidride solforosa viene limitato, almeno in parte, (massimo 100 mg/l per i vini rossi, mentre per i bianchi massimo di 150 mg/l), l’utilizzo di coadiuvanti enologici e di mosti concentrati rettificati non è vietato (purchè ottenuti da uve biologiche) e, ad onor del vero, l’elenco delle sostanze permesse è tale da permettere qualsiasi tipo di correzione (o quasi) atta a salvare il raccolto quando l’inclemenza della natura lo richieda. E in questo non possiamo non essere concordi con Giacosa quando afferma che “per il biologico sarebbe opportuna una revisione restrittiva delle norme sulle sostanze e sulle pratiche enologiche consentite”.

L’ agricoltura biodinamica è una disciplina teorizzata da Rudolf Steiner agli inizi del secolo scorso e mette in relazione le forze cosmiche con il mondo vegetale e animale attraverso pratiche agricole ed esoteriche. “Quando le pratiche si basano sulle energie sottili cosmiche e spirituali – aggiunge l’enologo – difficilmente si possono definire e valutare con gli strumenti della scienza naturale. Alcuni interessanti fenomeni sono evidenti ma vanno ancora, almeno da parte mia, ben studiati e compresi”. Nel caso dei vini biodinamici, dove esistono regolamenti volontari creati dalle associazioni degli agricoltori, viene imposta l’assenza totale della chimica di sintesi nel vigneto, che deve essere coltivato seguendo i principi di Steiner e dove la raccolta meccanica e l’uso di OGM sono espressamente vietati. In cantina sono invece vietati l’osmosi inversa, le ultrafiltrazioni, le pompe centrifughe, la pressatura continua, i lieviti selezionati e i loro nutrimenti, la pastorizzazione e molti dei più comuni prodotti enologici: il contenuto di anidride solforosa ammesso è inferiore a quello dei vini biologici (recentemente l’associazione Demeter ha fissato in 70 mg/l per i vini rossi e 90 mg/l per i bianchi), e si preferiscono i trattamenti fisici rispetto a quelli chimici.

 Un vino naturale invece viene innanzitutto realizzato in primo luogo nel vigneto, dove il produttore applica esclusivamente metodi di agricoltura biologica, o biodinamica, ma come ci evidenzia l’enologo, “tutti i produttori di vini naturali che seguo valutano insufficienti le norme sul biologico”. I vigneti devono quindi necessariamente essere ubicati in posizioni vocate, stimolando la crescita delle piante senza forzarne la produttività ed aiutando il terreno a mantenere viva la propria naturale fertilità e valorizzando la biodiversità vegetale del sito. Le uve che arrivano in cantina devono essere naturalmente sane, ricche di sapore e personalità, rispondendo all’assioma che più l’uva è sana più semplice è la produzione di un vino naturale.

La vinificazione deve avvenire secondo alcuni protocolli formali

-fermentazione spontanea del mosto con microflora indigena, senza aggiunta di lieviti selezionati o altre sostanze, fatta eventualmente eccezione per piccole quantità di anidride solforosa, indispensabili per preservare la sanità del vino nella fasi di travaso e di imbottigliamento; su questo tema però i pareri sono anche (molto) discordi e i limiti possono variare dai 50 mg/l per i vini bianchi e 30 mg/l per i rossi (secondo il disciplinare di VinNatur) agli 80 mg/l secondo Viniveri.

-tutte le varie operazioni e pratiche di cantina, come la fermentazione ma anche l’ammostamento, la macerazione, la chiarifica e l’illimpidimento (se non per azione naturale), il controllo artificiale della temperatura e la stabilizzazione del vino devono essere condottesenza l’impiego di mezzi, apparecchiature o sostanze atte ad alterare la natura del vino stesso. Ovviamente, non è ammessa alcuna aggiunta di presidi enologici, anche se contemplati in biologico;

-utilizzo di botti in legno solamente se di uso tradizionale nel territorio, e comunque scariche di sostanze aromatizzanti (aroma boisè, ad esempio da tostatura); a parte le tradizionali vasche in cemento, si possono utilizzare i comuni vasi vinari in acciaio inox purché privati dei dispositivi elettromeccanici o termo-condizionanti usati nella produzione convenzionale e biologica;

-utilizzo di solo zucchero endogeno per la rifermentazione nella produzione di vino frizzante o spumante, non utilizzando autoclave ma unicamente con rifermentazione in bottiglia, a meno che, se del caso, il disciplinare di un vino a denominazione di origine obblighi a utilizzare zucchero esogeno per la rifermentazione.

“Elaborare Vini Naturali è uno Stato dello Spirito, un’Etica, un’arte di Vivere” Jean Pierre Robinot, viticoltore della Loir

Molti produttori artigianali considerano il disciplinare del vino biologico troppo tollerante (verso pratiche interventiste) e per questa ragione hanno scelto di interrompere la certificazione o di non certificarsi del tutto: per questi motivi alcuni produttori agiscono con un approccio molto più radicale e restrittivo, quali quelli aderenti al protocollo SAINS (Sans Aucun Intrant Ni Sulfite, ovvero senza alcun additivo né solfiti) che affermano di produrre vino senza presidi chimici, né in vigneto e neppure in cantina, e sembrano affidarsi alla natura (e alla fortuna, oltre che alla professionalità) sia per la vendemmia che per la vinificazione.

Una nuova idea di Enologia, auspicabilmente “normata”

Personalmente siamo convinti che le pratiche di vinificazione naturale abbiano ancora enormi margini di sviluppo e crescita, attraverso l’ausilio della ricerca: alcuni produttori più propensi alla sperimentazione stanno già scrivendo nuove pagine di enologia, dove l’unico vincolo è lavorare seriamente, nel pieno rispetto della materia prima, ma avvalendosi anche delle più recenti acquisizioni tecnico-scientifiche, nell’attesa (speranza) che quanto prima i loro sforzi siano tutelati da un serio disciplinare di produzione. “Credo sia proprio opportuno normare dettagliatamente la dicitura “naturale” in etichetta e attivare un sistema efficace di controlli per evitare che gli immancabili furbetti possano minare la credibilità dei tanti viticoltori che lavorano in modo serio – evidenzia l’enologo -. A livello UE purtroppo non sarà facile trovare un accordo. Molto probabilmente si dovrà scendere a compromessi con i vari rappresentanti di filiera con il rischio di giungere all’approvazione di norme eccessivamente permissive (come già successo in sede di approvazione della normativa sul biologico, in particolare per le pratiche di cantina). Non sarà facile neppure mettere in atto rigidi ed efficaci controlli per tutelare opportunamente il consumatore (e i produttori onesti) …Forse è meglio seguire una strada diversa che passa per la definizione di un rigoroso disciplinare da parte delle associazioni di vini ‘naturali’ e l’assegnazione dei controlli ad un organismo terzo. Un modello che potrà essere adottato in sede UE”.

Quindi, tanti i problemi da affrontare, ma anche tanta voglia e determinazione nel volerli risolvere in modo serio. Va detto anche che, al netto delle connotazioni politiche delle quali talvolta è caratterizzato il fenomeno naturista (ad esempio il regista americano J. Nossiter nel suo film “Resistenza naturale“ considera la viticoltura naturale in Italia un atto di resistenza), il movimento dei vini naturali ha il grandissimo merito di fare una vera resistenza sulle tematiche ambientali, intesa come strenua difesa del territorio e della sua biodiversità, vero tesoro da conservare e trasferire integro alle generazioni future.

Giovanni Colugnati e Giuliana Cattarossi, Colugnati & Cattarossi, capofila Ats Agroecologia

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