Terrà

La pasta con sarde e finocchi, quando la Sicilia si divide sul “colore”

A diverse preparazioni frequenti della cucina locale nebroidea non è possibile attribuire esclusive o primogeniture ma influenze e derivazioni per via di qualche alimento o forma caratterizzante, come ad esempio accade per la pasta con le sarde, che da queste parti è un piatto abituale e che segue soprattutto la versione messinese, rossa di pomodoro. Essa non è frequente solo nelle comunità che si affacciano sul mare ma anche in tutte quelle dove il pesce azzurro riusciva già un tempo ad arrivare fresco ogni giorno – l’unico una volta, pescato lungo la costa con le tecniche più tradizionali – magari in cassette legate dietro la lambretta dupisciaru.

Finocchio selvatico

Il pesce azzurro, che era ed è sicuramente il prodotto principale della quotidiana fatica degli ormai non molti pescatori della zona, continua del resto ad averle un ruolo di rilievo in cucina. Anche sui Nebrodi, come in molte località siciliane, la più classica delle nostre pastasciutte di mare, la pasta con le sarde, si prepara ovunque, e qui segue per lo più appunto la versione messinese, accompagnata sempre dall’immancabile finocchio selvatico ma che preferisce quindi l’accostamento col pomodoro, piuttosto che la versione in bianco con l’uva passa, i pinoli, ecc., e vuole le sarde fritte, prima dell’abbinamento piuttosto che aggiunte al soffritto.

In ogni caso, come sarà a tutti noto, essa non è ormai solo un piatto tradizionale della cucina siciliana ma anche una forte presenza mediatica internazionale, vero simbolo della cucina di mare dell’Isola. La versione colorata di rosso, quanto meno con l’estratto, differenziandosi in ciò dalla versione in bianco è probabilmente minoritaria in Sicilia ma si addentra anche in aree interne di altre provincie: si ritrova infatti in diverse altre aree, e non solo in quelle contigue del Catanese e della Sicilia orientale, ma ad esempio anche in alcune località sicane delle palermitane valli del Torto e dei Feudi.

In entrambe le versioni occorre lessare nell’acqua di cottura della pasta, che va tenuta da parte, un bel mazzetto di tenere fronde e guaine di finocchi selvatici (per chi non potesse raccoglierseli da sé, oggi si trovano in vendita ovunque, anche al Nord). Nella versione alla messinese – le modalità di preparazione hanno molte varianti personali, ma possono essere condensate in quelle più canoniche – occorre preparare nel frattempo una classica e buona salsa di pomodoro, magari con l’ortaggio fresco ma in ogni caso molto semplice, e friggere le sarde (quante ne vuole la gola). Le sarde fritte vanno diliscate e private delle code e poi spezzettate grossolanamente, ma alcune, che serviranno a decorazione del piatto, possono essere fritte aperte a libro e lasciate riposare.

Pasta con sarde e finocchi versione “colorata” di rosso

Nella salsa di pomodoro preparata a piacere si fanno insaporire a fuoco dolce le fronde e le guaine dei finocchi lessati, ben tritati, fino ad amalgamare per bene i sapori. Nell’acqua di lessatura dei finocchi si mette a cottura la pasta – meglio lunga, ottimi i bucatini – che poi si condisce con il sugo di pomodoro e con le sarde spezzettate, non senza aver prima aggiunto una manciata di finocchietto fresco tritato ottenuto con le parti più tenere che si avrà avuto cura di mettere da parte prima di lessare il resto. È meglio servire la pasta molto calda, guarnita con qualcuna delle sarde fritte lasciate intatte. Non manca chi preferisce insaporire le sarde fritte a fine cottura nella salsa, amalgamandole ad essa sul o fuori dal fuoco, e chi le aggiunge direttamente nel piatto dopo aver colorato la pasta, ma vale sempre il de gustibus! Diverse anche le altre varianti personali per la salsa: aglio, cipolla eccetera.

Nell’altra versione tipica siciliana il condimento si prepara, oltre che con le sarde e i finocchi, con l’aggiunta di ingredienti caratterizzanti diversi dal pomodoro ma che fanno ugualmente parte della tradizione, soprattutto nella Sicilia occidentale: uva passa e pinoli sempre o quasi, zafferano spesso, ma anche qui vale il de gustibus! E se i canonici non prescindono dai bucatini spesso le forme prendono quelle del timballo, della pasta ‘ncasciata, e così via.

(Tratto dal libro “Cucina e gastronomia dei Nebrodi” di Pietro Ficarra)

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