Terrà

Pensieri e Parole
La “dolce” vendetta delle monache di clausura

di Peppino Bivona*

La storia dei conventi, da non confondere coi monasteri, è una pagina triste, oscura, della chiesa. I conventi di clausura custodiscono  giovane donne “sepolte” vive, dove l’alterazione della ragione ha fin troppo facile gioco, sconfinando spesso nella follia. E’ una perversa anomalia che obbliga la natura a percorrere sentieri insoliti e inauditi, che  paradossalmente riesce a coniugare, tristemente, la sessuofobia della chiesa cristiana e la protervia di una classe nobiliare, disposta fino all’inverosimile a difendere per “intero” l’accumulazione della ricchezza. A differenza dei fratelli minori, che avevano la possibilità di intraprendere oltre alla scelta monastica (e mai di clausura), anche quella militare, per le disgraziate figlie femmine esisteva la sola violenta sistemazione in convento.

La dote con cui si accompagnava la sventurata erano le briciole del patrimonio di famiglia. Ma, come se non bastasse, le sciagurate, quasi sempre erano accompagnate da sventurate figlie di contadini al servizio della famiglia nobiliare, destinate a divenire nel gergo isolano “li criate”, ovvero, la condizione più infima e infelice della scala sociale. Le povere sventurate, segregate, senza vocazione, subiscono la violenza dell’imperante principio del maggiorascato, a cui la chiesa porge, senza indugio, il  suo fianco. Ora, accade che, a partire dai primi del cinquecento, con l’introduzione del più pratico ed efficiente zucchero, il saccarosio sostituisce sempre più il miele, prende  così avvio una svolta epocale nella pasticceria. Le suore, aiutate dalle converse, creano dolci che non si limitano a soddisfare  il palato, ma vanno più in là, tentano di sedurre la vista e con le forme e l’estetica, pure la….. fantasia!

Le monache pasticciere prestano molta attenzione agli ingredienti, mettono una cura meticolosa nella decorazione, curano all’inverosimile i particolari. Gli esempi abbondano nelle tante elaborazioni tradizionali a cui sono legati gli innumerevoli dolci tipici che disseminano i nostri paesi,  la cui ricchezza e variabilità, oggi, possiamo stimarla scorrendo le vetrine delle nostre pasticcerie. Ma vien da chiederci: perché queste figlie sventurate, nel chiuso delle cucine, al riparo di sguardi indiscreti, decisero di elaborare dolcezze strepitose, una esaltazione esasperata della dolcezza senza pari, sfruttando, senza alcun ritegno, le allusive forme anatomiche intime, come metafore? Cosa sarebbe il “cannolo”, le “minne di vergini”, le “cunchiteddi”.

I cannoli

Ma le suore vanno oltre, con la frutta di “martorana“, intendono piegare la natura, la stessa che ogni giorno, ogni notte si ribella dentro il loro corpo, la loro carne. Gli elementi naturali semplici, glucosio e fruttosio sono artificiosamente estratti concentrati, stabilizzati, sbiancati, ma il processo muta la sua natura, diviene uno strano disaccaride, il saccarosio. Puro “zucchero” senza i limiti e protezioni della natura può essere lavorato, manipolato decorato…. un vero e proprio cavallo di Troia! Una sicura trappola per i palati dei loro parenti nobiliari, una dolcezza così intrigante e  accattivante che non avrebbe risparmiato alcuno, in particolare i tanti prelati che venivano a far visita e quanti altri che con calcolo freddo e meschino avevano deciso della loro sorte. Le suore non avevano alcun amore per questo mondo,  anzi lo odiavano, detestavano i loro congiunti a cui periodicamente inviavano i dolci, con la speranza che, presi per la “gola”, finissero tutti nel sesto girone dell’inferno dantesco in compagnia di Ciacco.

Qui le pene erano tanto severe quanto intolleranti, la pioggia di fango li avrebbe coperto, e il fetore nauseabondo annullato l’olfatto e il gusto. Ma oggi la vendetta delle sventurate sorelle, alla luce delle odierne conoscenze, lascia un segno più profondo, minando dal di “dentro” la salute dei golosi. Questo candido estratto, isolato dal suo contesto naturale, altera molte delle funzioni metaboliche, provoca danni irreparabili al nostro organismo e come se non bastasse, si comporto come una droga, inducendo dipendenza. Le disgraziate sorelle di clausura forse non avevano la piena consapevolezza dei danni arrecati alla salute, volevano solo spedire all’inferno tutti coloro che avevano contribuito a rendere infelice la loro esistenza su questa terra.

*Presidente della Libera Università Rurale lurss.onlus@gmail.com

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