Terrà

L'intervista
Campanella: agricoltura smart, clima e energia le priorità. La “Dichiarazione di Palazzolo Acreide”

di Dario Cataldo

Le aree rurali italiane rappresentano il 72% del territorio nazionale e ospitano il 28% della popolazione. Sono luoghi di grande diversità e ricchezza culturale, ambientale e sociale, ma anche di sfide e opportunità per lo sviluppo sostenibile. Per far emergere le esigenze e le proposte delle comunità rurali italiane, nasce il Parlamento rurale europeo Italia (ERP Italia), un’iniziativa partecipativa e inclusiva che si inserisce nel contesto del Parlamento rurale europeo (ERP), una rete di organizzazioni della società civile che opera a livello europeo da oltre trent’anni. L’ERP Italia si propone di essere uno spazio di dialogo e confronto tra le diverse realtà rurali italiane, coinvolgendo associazioni, enti locali, istituzioni, imprese, cittadini e giovani. Di questo e altro ne abbiamo parlato con Sergio Campanella, segretario generale del Parlamento Rurale Europeo Italia in occasione della sezione italiana del Parlamento rurale europeo (ERP-Italy), inaugurata lo scorso 13 maggio a Palazzolo Acreide (Siracusa).

Segretario, qual è il ruolo principale del Parlamento rurale europeo in Italia?

“La sezione italiana del Parlamento rurale europeo (ERP-Italy) appena inaugurata non è una parte formale del governo o un parlamento nel senso di un organo legislativo o decisionale, è un movimento dichiaratamente apartitico che si occupa di ‘politica e politiche della ruralità’. Le sessioni del Parlamento rurale, tuttavia, sono molto più di una semplice conferenza. Sono potenti nel mobilitare e raccogliere persone e idee dalle comunità rurali e trasformarle in manifesti per l’azione. Sono anche una vetrina per le zone rurali e la loro gente. Le proposte scaturite dalle sessioni del Parlamento rurale nazionale sono condivise in seno al Parlamento Rurale Europeo; ed è quest’ultimo che si fa portavoce presso le maggiori istituzioni UE delle istanze proposte dai parlamenti rurali nazionali”.

Sergio Campanella

Quali sono le principali sfide che le comunità rurali affrontano in Italia?

“Teniamo conto che, attualmente, ERP-Italy coinvolge quindici delle venti regioni italiane e, dunque, contiamo nel prossimo futuro di coprire l’intero territorio nazionale; conta oltre seicentotrenta membri individuali, fra persone fisiche che si occupano di ruralità a titolo personale, agricoltori, ricercatori, operatori, funzionari, professori universitari… e oltre trenta membri collettivi, tra i quali gruppi di azione locale, associazioni e agenzie di sviluppo rurale, reti rurali, distretti del cibo e produttivi. È questa grande comunità rurale nazionale che ha espresso e condiviso il Manifesto della Neo-Ruralità, così come un Position Paper, ossia un elenco di tematiche proposte dai partner in sede di adesione al Parlamento rurale italiano, perfettamente in linea con quelle di interesse del Parlamento rurale europeo. In sintesi, le maggiori tematiche raggruppate in cinque macro-aree di interesse, grazie a un lavoro congiunto che abbiamo svolto col coordinatore di ERP-Italy Nino Sutera: A) Sovranità alimentare; Dieta mediterranea; Educazione alimentare; Valorizzazione e difesa dell’identità locale; Informazioni ai consumatori; Garanzie di trasparenza, tracciabilità e salubrità nell’agroalimentare B) Agro-ecologia; Cambiamenti climatici; Transizione ecologica ed energetica; Carbon Farming; Circolarità produttiva C) Smart Village; Multifunzionalità; Nuovi residenti; Agricoltura sociale e giovanile; Giovani e loro ruolo a servizio delle comunità rurali D) AKIS – Agricultural Knowledge and Innovation Systems, con il preciso obiettivo di rendere l’agricoltura europea più intelligente (smart), sostenibile e digitale E) LEADER e CLLD; Semplificazione amministrativa; Patto Rurale; Visione di lungo termine per le aree rurali. Le sfide, dunque, non mancano e c’è molto lavoro da fare”.

Quali azioni ERP Italia sta intraprendendo per promuovere una transizione verso un modello alimentare più sostenibile?

“La rotta ci viene tracciata principalmente dal Decalogo che i giovani parlamentari italiani della neo-ruralità hanno proposto, priorizzando dieci princìpi che, ad esempio, affermano l’urgenza di interventi per salvaguardare e aiutare le api; di non utilizzare più il 40% della terra coltivabile per nutrire gli animali degli allevamenti intensivi invece che le persone; che la produzione di cibo non sia più causa delle sfide globali e che, dunque, i leader mondiali non continuino ad ignorare gli impatti delle coltivazioni intensive e degli allevamenti intensivi; che le verdure e gli ortaggi siano coltivati con concimi solo organici; che si possa mangiare la frutta anche con la buccia senza paura di venire avvelenati dai pesticidi; che si possano mangiare carni di animali allevati a stretto contatto con la natura e senza l’utilizzo di antibiotici, non rinchiusi per tutta la loro vita nelle anguste gabbie e insalubri batterie degli allevamenti intensivi, non selezionati geneticamente per crescere a ritmi innaturalmente rapidi o produrre di più; che l’etichettatura sul metodo di coltivazione debba chiarire esattamente ai compratori da quale zona provengano i prodotti della terra; che il settore zootecnico non sia più una delle principali fonti di emissioni globali di gas serra e una causa significativa di inquinamento di aria, suolo e acqua, che alimenta la crisi climatica; e che gli animali da allevamento non vengano trasportati vivi su lunghe distanze, per poi essere macellati o ingrassati all’arrivo in condizioni disumane; infine, che si promuova e metta in campo un’agricoltura più rispettosa della natura e del benessere animale, che permetta la rigenerazione dell’ambiente, un sostentamento equo per gli agricoltori e cibo sano e nutriente per tutti. Ecco, i nostri giovani hanno idee molto chiare e precise, che le nostre comunità rurali locali devono sostenere con forza se la transizione verso modelli alimentari sostenibili la si vuole attuare davvero e non relegarla a mero slogan con cui riempirsi la bocca, nella consapevolezza che intanto si va comunque avanti secondo il modello business as usual, lasciando in eredità un mondo in rovina, distrutto nei suoi habitat naturali e privato della ricchezza delle sue biodiversità”.

Come state affrontando l’impatto dei cambiamenti climatici sulle colture?

“I suggerimenti pratici scaturenti dal confronto seminariale, hanno condotto i parlamentari rurali italiani ad ufficializzare in seno alla Dichiarazione di Palazzolo Acreide proposte pratiche e soluzioni operative su cui potersi immediatamente adoperare tutti insieme. Ad esempio, è emersa la proposta di imporre un’accelerazione nella ricerca dell’efficienza nell’uso delle risorse idriche disponibili e un’ulteriore spinta verso tecniche irrigue sostenibili; altro esempio: l’incentivazione dei frangivento come strumento per la riduzione delle diverse tipologie di danno, sia di tipo meccanico alla produzione, sia per mitigare l’effetto dei cosiddetti venti ‘disseccanti’ e quindi per la riduzione dello stress idrico associato a livelli troppo elevati di evapotraspirazione. E ancora, si propone il rafforzamento dei servizi agrometeorologici in agricoltura, per il calcolo dei fabbisogni irrigui, per la previsione delle gelate radiative, per la difesa fitosanitaria sostenibile, per l’osservazione e l’analisi dei segnali di cambiamento climatico. Emerge, altresì, che bisogna incentivare numerose trasformazioni, tra cui la conversione del sistema di monocoltura estensiva in un sistema di policoltura diversificato, integrato nell’allevamento e convertito in un sistema biologico: adottare il vincolo ‘Energie Rinnovabili-Acqua-Agricoltura’ è una conditio sine qua non per il futuro delle colture e delle produzioni mediterranee; l’Irrigazione Complementare Deficitaria (ICD), il cui obiettivo è correggere il deficit pluviometrico locale, che consente almeno di raddoppiare le rese, va abbinata allo sfruttamento degli incrementi di produttività di altri fattori diversificati di produzione, che favoriscano l’accumulo dei valori aggiunti del sistema. Infine, sebbene il costo della desalinizzazione appare oggi elevato rispetto al costo dell’acqua convenzionale, occorre oggi più che mai ridimensionare quest’opinione perché la ‘costosità’ del processo di desalinizzazione deve essere valutata in base all’efficienza di valorizzazione di questa ingente risorsa: gli enormi successi riscontrati, ad esempio, da Israele in questo campo dovrebbero spingerci a riflettere in un’ottica di medio-lungo periodo. Ecco, questi sono alcuni degli esempi proposti e che costituiranno oggetto di ulteriore confronto”.

foto di Agata Imbrogiano

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