Parla l'esperto
Reti di biocenosi integrate: una concreta possibilità per l’ecosistema siciliano
Il ricorso ai soli concimi minerali e agli ammendanti organici, utilizzati per intensificare la produttività, non ha risolto i problemi di fertilità biologica e strutturale dei suoli dei vigneti. Tra le strategie ecosostenibili, appare necessario fare ricorso alla cosiddetta biodiversità pianificata o sito-specifica che si sviluppa nelle associazioni tra specie legnose (vite) e quelle erbacee (cotico erboso) con modalità spaziali, temporali e di utilizzo molto diverse e contemporaneamente con nuovi criteri di gestione quali sovesci (Colugnati et al., 2014), lavorazioni alternate, aree naturaliformi, ambienti di prossimità, ecc. ancora poco o solo parzialmente analizzate.
Queste associazioni vegetali (anche nelle aree non direttamente interessate alla coltura) hanno obiettivi multipli ed assumono ruoli prevalenti a seconda delle problematiche che sono chiamate a risolvere: proteggere il suolo dall’erosione o dal calpestamento, catturare azoto dall’aria, respingere i bioagressori e/o attivare gli ausiliari, ridurre le emissioni di gas-serra, ecc. Questa strategia agronomica di potenziamento della biodiversità nell’agroecosistema è rappresentata dalla gestione dei cosiddetti field margins, cioè degli ambienti semi-naturali di prossimità al vigneto, con superficie e forma anche molto diversa tra loro, preferibilmente senza utilizzo di pesticidi o erbicidi al fine di promuovere la biodiversità anche in questo ambiente (in tal caso si definiscono unsprayed crop edge o conservation headland).
Di cruciale importanza per la tutela della biodiversità risulta la presenza di siepi, di specie forestali od arbustive, dal momento che esse rappresentano micro-habitat molto importanti per la conservazione di specie animali (soprattutto insetti, uccelli e piccoli mammiferi) in quanto la loro mancanza impedisce la presenza di un ambiente idoneo alla loro alimentazione e soprattutto riproduzione (Le Coeur et al., 2002). Di evidente rilevanza agronomica risulta inoltre la presenza di quegli insetti predatori di fitofagi che consentono un naturale controllo delle popolazioni di parassiti.
La fascia successiva è quella del field margins veri e propri, che possono essere temporanei o permanenti, e che assumono termini diversi in funzione dello scopo del loro insediamento (Burel., 1996): per conservation headlands si intendono strisce esterne della coltura che non vengono gestite per favorire l’insediamento di specie spontanee ed insetti mentre con uncropped strips ci si riferisce ad aree non coltivate per assicurare rifugio e/o nutrimento ad insetti ed uccelli (Smith et al., 1999). Quando si destina la fascia esterna dei campi all’instaurarsi di una vegetazione della durata di alcuni anni si parla di buffer strips, generalmente strisce inerbite in modo permanente situate lungo i corsi d’acqua e le fosse e concepite soprattutto per ridurre il ruscellamento di particelle terrose contenenti nutrienti ed altri prodotti chimici provenienti dall’agroecosistema.
Tali aree possono prendere il nome di sown grass o wild flower strips, a seconda delle specie utilizzate: rispettivamente graminacee foraggere o flora spontanea a fiori vistosi rispettivamente). In ogni caso vengono impiantate strisce permanenti appositamente seminate (vigneto come elemento del terzo paesaggio). Dal punto di vista funzionale i field margins permanenti garantiscono risultati migliori in termini di biodiversità e sostenibilità ambientale, mentre dal punto di vista pratico richiedono un onere maggiore per l’agricoltore perché ovviamente le operazioni di gestione richieste esulano dalle normali operazioni effettuate per le colture adiacenti.
La maggior parte delle specie presenti nei field margins non sono specie normalmente presenti nei campi arati, anzi alcune di queste vivono unicamente nel cosiddetto “cotono” presente ai bordi dei campi coltivati (Arnold e Marshall 2000). Un aspetto aggiuntivo è la possibilità di gestire i field margins in modo mirato con l’obiettivo di insediarvi e mantenervi specie rare, protette o comunque di particolare interesse biologico e/o paesaggistico (Hietala-Koivu, 2004). Questo è ad esempio il caso delle wildflower strips in cui i field margins sono seminati con particolari specie dotate di fiori di interesse estetico per aumentare l’aspetto paesaggistico delle campagne.
Non è un caso il fatto che la maggior parte delle piante “spontanee” abbiano una scarsa od assente “esteticità”: infatti, specie come Amaranthus retroflexus, Chenopodium album, Xanthium strumarium, oltre a diverse specie di graminacee, presentano fiori prive di corolle colorate e vistose. Ciò deriva dal fatto che le specie sopravvissute alla drastico incremento dell’antropizzazione verificatosi ormai da decenni sono quelle contraddistinte da una marcata resilienza alle perturbazioni agronomiche in quanto adatte a persistere grazie a loro particolari strategie di sopravvivenza (Benvenuti et al., 2004).
Una di queste è la scarsa dipendenza dalla salute dell’ecosistema circostante in quanto spesso l’intervento agronomico danneggia non solamente le associazioni floristiche presenti ma l’intera cenosi comprendente la micro-fauna circostante. Ne consegue come l’impollinazione entomofila è una caratteristica decisamente rischiosa per una determinata specie infestante che infatti, come nei casi sopraccitati, solitamente è contraddistinta da impollinazione anemofila o più spesso autogama. L’abuso da parte dell’uomo dei fattori produttivi a lui disponibili ha comportato un impatto sulla saluta dell’ecosistema il quale pare essersi “vendicato” con un effetto boomerang nel sottrarci il paesaggio al contrario regalato ai nostri predecessori (Barbault, 1995).
Possibili scenari
L’obiettivo di un ecosistema agricolo è la resilienza, proprietà presente negli ecosistemi naturali che è il risultato di alcune condizioni quali la complessità dell’organizzazione funzionale che garantisce la solidità, la diversità dei partecipanti (vegetali, fauna, risorse alimentari), gli stock e le risorse sistemiche. La sostenibilità nel lungo periodo nella gestione delle fitocenosi, estremamente erose sotto il profilo della diversità floristica, dipenderà infatti da un cambio di atteggiamento nei confronti della flora spontanea.
L’obiettivo agronomico, ormai obsoleto, di dover imporre una sorta di vuoto biologico nell’agroecosistema deve necessariamente essere sostituito dall’idea di contrastare esclusivamente quelle specie contraddistinte da elevata aggressività (competizione idrica e nutrizionale nei confronti della vite) e comunque seguendo criteri di razionale opportunità nella scelta dei tempi e dei modi della relativa gestione. Inoltre, la presenza di una vegetazione spontanea nei periodi di assenza della coltura (intercoltura), è un esempio di una gratuita utilità agronomica in quanto tende ad occupare una determinata nicchia ecologica riducendo fenomeni negativi come l’erosione del suolo (la flora tende a proteggere il suolo dall’azione battente delle piogge), la perdita di nutrienti (vengono assorbiti e trattenuti dalla vegetazione) e ad impedire l’eventuale invasività di quella flora di sostituzione che risulta ormai di crescente preoccupazione agronomica.
Giovanni Colugnati & Giuliana Cattarossi Capofila G.O. “Agroecologia”
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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