Agricoltura sostenibile
L’importanza della biodiversità floristica nell’agroecosistema vigneto
Per lungo tempo la biodiversità delle specie vegetali presenti nell’agroecosistema vigneto non ha suscitato alcun interesse in quanto considerata argomento privo di alcuna ricaduta agronomica ed ecologica ma fortunatamente negli ultimi anni si è assistito a una marcata inversione di tendenza in quanto è stato verificato che la biocenosi vegetale spontanea costituisce non solamente un patrimonio vegetale da difendere, ma anche uno strumento di gestione ecocompatibile dell’agroecosistema (alla base del concetto di resilienza). E’ stato infatti osservato che la presenza di un’ampia gamma di specie vegetali concorre ad evitare quel vuoto biologico che tende ad esaltare l’invasività di quelle che risultano marcatamente aggressive in virtù della loro elevata competitività, idrica e nutrizionale, nei confronti della vite (specie ruderali nitrofile, ad esempio): in altre parole, la presenza di una complessa fitocenosi tende a limitare l’insorgenza di infestazioni di difficile controllo grazie alle reciproche interazioni sia competitive che allelopatiche (Randall, 1995).
La presenza di una complessa fitocenosi tende a limitare l’insorgenza di infestazioni di difficile controllo
L’insorgenza di una flora di sostituzione particolarmente aggressiva, nonché la presenza di ecotipi di infestanti ad acquisita resistenza agli erbicidi, sono due chiari esempi di problematiche relative ad un eccessivo ricorso ai metodi chimici per il controllo dell’infestazione: in questo ambito, la biodiversità dell’agroecosistema è ormai ritenuto un valido strumento di valutazione del suo stato di salute (Trivellone et al., 2017), tanto che la presenza di fitocenosi monospecifiche od oligospecifiche sono ritenute strettamente associate ad evidenti difficoltà agronomiche nella difesa delle colture. In pratica, la presenza nel cotico erboso del vigneto di una composizione floristica infestante equilibrata, cioè caratterizzata da un elevato numero di specie, consente un più agevole controllo delle malerbe stesse: questo dipende soprattutto dalla riduzione del loro potere competitivo di una singola specie in quanto ostacolata e limitata dalla intera fitocenosi presente. In altre parole, le varie specie tendono ad autolimitarsi a vicenda (Benvenuti et al., 2004). Allo stesso modo una comunità di malerbe semplificata, con una ridotta biodiversità è da ritenersi squilibrata e soggetta all’instaurarsi di fenomeni agronomicamente indesiderati come la diffusione di poche specie molto competitive, che necessariamente implicano interventi chimici per la gestione dell’infestazione (diserbo sottofila).
Va sottolineato che sistemi colturali di tipo convenzionale basati sul diserbo chimico, come accennato, causano spesso una situazione di vuoto biologico che induce l’instaurarsi di una cosiddetta flora di sostituzione, comunità floristica nella quale molte nicchie ecologiche vengono lasciate vuote per il drastico disturbo causato dalla distribuzione dell’erbicida. La mancanza di competitori consente l’ingresso di specie di scarsa invasività che, nonostante la loro scarsa importanza come infestanti, possono comportare notevoli danni agronomici proprio per il mancato contrasto di una vegetazione tampone inesistente. Ne consegue che la scelta di sistemi colturali ecocompatibili (integrati, biologici, ecc.) implica il mantenimento di una flora equilibrata che può agevolare e rendere flessibile il controllo. In questa logica la coesistenza del vigneto e di ambienti naturaliformi, integrati attraverso una fitta rete di biocenosi diverse (tunnel ecologici), comporta un vantaggio ecologico di grande interesse: il vigneto assume un ruolo chiave di isola ecologica, alla luce della sua naturalità, vero e proprio conservatoire di specie ad elevata biodiversità sito specifica (Colugnati e Cattarossi, 2018), elemento a spiccato valore paesaggistico (terzo paesaggio, secondo la definizione di Clement).
Biodiversità pianificata: la strategia per l’ecologia viticola futura
Nella prospettiva di un’agricoltura sostenibile, in cui situazioni di semi-naturalità (siepi, striscie di prato di varia natura, sponde naturaliformi di fossi e canali, piccole zone umide, aree boschive ristrette, ecc.) vengono recuperate a costituire, negli ambiti coltivati, un diffuso reticolo di ambienti ad elevato livello di complessità, anche i vigneti collinari oppure in aree residuali, possono rappresentare un elemento importante per il mantenimento della biodiversità agro-ecosistemica ed il miglioramento complessivo del territorio nel suo insieme. Sono le aree scarsamente o per nulla coltivate, troppo spesso abbandonate, per motivi logistici oppure economici, ma che possono diventare da un lato elemento importante di diversificazione biologica ed ambientale e dall’altro di protezione dell’ecosistema suolo. Escluse dalla coltura principale, queste aree, al contrario, trovano in una copertura a prato-pascolo naturale un mezzo che può coniugare nel migliore dei modi protezione del suolo, livello accettabile di biodiversità (con conservazione di specie vegetali ed animali tipiche delle cenosi erbacee), miglioramento delle caratteristiche chimiche e microbiologiche del suolo, miglioramento della qualità ambientale del territorio e costi di gestione contenuti determinati dal basso livello di manutenzione richiesto.
Normalmente questa copertura vegetale trova il suo modello di riferimento nelle cenosi erbacee dei prati-pascolo meso-xerici non concimati: un tempo molto estesi negli ambiti agricoli settentrionali, sia di collina che di pianura, attualmente sono in fortissima contrazione, sostituiti dalle monocolture e dall’espansione edilizia (all’origine del patologico spreco di suolo) tanto da correre il rischio di estinzione e conseguente definitiva compromissione del livello di diversità biologica degli ambiti agricoli. In questa logica, piccole ma significative esperienze (quali il Progetto Stravina) sono state proposte al fine di valutare, selezionare e recuperare situazioni floristico-vegetazionali in cenosi di prossimità ad insediamenti viticoli finalizzate a promuovere processi spontanei di insediamenti di cotici erbacei ad elevato grado di naturalità: infatti, per uno sviluppo adeguato della microfauna è auspicabile una composizione floristica elevata e costituita da piante perenni; inoltre la loro continuità alimentare può essere garantita dalla presenza nelle vicinanze del vigneto di siepi, scarpate e piccoli boschi. A questo riguardo l’aspetto più importante è quello di favorire la presenza costante di piante in fioritura, in quanto sono i nettari ed il polline le fonti alimentari degli insetti antagonisti: l’assenza di 7-10 giorni di fiori può essere fatale per alcuni parassitoidi.
Tali modalità operative, fra l’altro, hanno evidenziato un profondo cambiamento nei rapporti tra la vite ed alcuni aspetti negativi legati alla condizione di monocoltura del vigneto, in un’ottica di protezione integrata nei confronti degli artropodi fitofagi, controllati in modo molto efficiente dall’entomofauna infeudata alle erbe infestanti: infatti, alcuni indici di biodiversità quali la presenza di emitteri e di eterotteri hanno mostrato che i cotici prolungati garantiscono una maggiore ricchezza di specie ben strutturate. Anche gli antagonismi vegetali (allelopatia) fanno parte del ventaglio delle strategie ecosostenibili di possibile utilizzazione e di particolare efficacia in situazioni specifiche, ad esempio nelle situazioni di “ristoppio” stretto dei vigneti (estirpo-reimpianto) quando sovente vengono segnalati fenomeni di sviluppo stentato delle barbatelle, con manifestazioni spesso asintomatiche, riferibili genericamente a stanchezza del terreno. Le cause sono molto diverse e tra queste hanno importanza crescente la diffusione di nematodi, di funghi tellurici, di insetti (es. elateridi) e di altri organismi dannosi: in queste situazioni si può efficacemente fare ricorso alle cosiddette piante biocide, quali crucifere del genere Erica e Brassica, che producono sostanze specifiche (glucosinolati) che liberano composti isotiocianati e nitrili, attivi su funghi e nematodi: l’azione di questi composti non si manifesta solamente con la pacciamatura ed il leggero interramento della massa vegetale, ma anche attraverso le radici che rimangono nel suolo.
Giovanni Colugnati & Giuliana Cattarossi G.O. Agroecologia
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