Niente prodotti dell’agricoltura, c’è il bosco. Plinio e le antiche arti culinarie tra funghi e castagne
È evidente che uno studio approfondito sulla cultura gastronomica classica non può prescindere da un’indagine sulle preparazioni culinarie antiche a base di prodotti alimentari ottenuti dalla raccolta e dal taglio delle piante boschive e del sottobosco, prima dello sviluppo di qualsiasi forma effettiva di selvicoltura. Il filosofo Platone (IV sec. a.C.), nel Politico, attesta l’antichità e gli aspetti mitologici di tale consuetudine alimentare, sostenendo che, ai tempi del regno di Crono, divinità pre-olimpica greca, gli abitanti del cosmo non avevano necessità di praticare alcuna forma di agricoltura, in quanto le piante arboree e le foreste fornivano spontaneamente ogni tipologia di nutrimento desiderabile.
Abbiamo scelto, in questa sede, di operare una stringata sintesi del materiale disponibile, soffermandoci sulle caratteristiche di alcuni prodotti boschivi e del sottobosco – le noci, le castagne e i funghi – e sul loro utilizzo nell’ambito delle preparazioni gastronomiche antiche. Gli studi naturalistici e botanici di certi autori antichi, come Teofrasto (IV sec. a.C.), autore di una Storia delle piante, e Plinio Il Vecchio (I sec. d.C.), autore di una Storia naturale, illustrano le caratteristiche di una trattatistica scientifica enciclopedica antica rigorosa e fondata, ma sarà necessario non trascurare, inoltre, i riferimenti letterari o il ricettario del gastronomo Apicio (I sec. a.C.-I sec. d.C.), il De re coquinaria. Vi era l’uso di sgranocchiare le noci durante i lauti banchetti: compaiono a volontà, per esempio, nel menù dell’icastica cena di Trimalcione nel Satyricon di Petronio, insieme a ceci, lupino e mele.
Nel ricettario di Apicio, possono essere aggiunte come ingrediente per una salsa bianca per uccelli lessati, insieme a pepe, ligustico, cumino, semi di sedano, nocciole, miele, salsa di pesce e molto altro o tritate per il ripieno dei datteri salati all’esterno e fritti nel miele cotto o ancora come ingrediente di accompagnamento per le sarde. In Ermippo, epitomatore di Ateneo, si chiede alle Muse, con un’invocazione epica di fattura pseudo-omerica, di mostrare quante e quali prelibatezze Dioniso abbia donato alla civiltà, trasportandole sulla sua nave nera che percorse il mare color del vino. Dalla Paflagonia (antica regione dell’Anatolia), arrivavano castagne e lucide mandorle, adatte all’ornamento dei banchetti. Apicio impiega curiosamente le castagne cotte a uso lenticchie: con il mortaio verrà preparato un trito di pepe, cumino, semi di coriandro, menta, ruta et cetera.
La poltiglia sarà bagnata con aceto e condita con miele e salsa di pesce. A seguito di ciò, si aggiungerà il tutto alle castagne cotte e si farà bollire. Per quanto riguarda i funghi, gli antichi nutrivano, a questo riguardo, una considerazione doppia e cauta. In una lettera a un amico, Cicerone (I sec. a.C.) afferma di aver contratto una fastidiosa malattia intestinale, perdurata parecchi giorni, dopo aver preso parte a una cena a base di verdure, che il suo ospite aveva fatto preparare per non contravvenire alle recenti leggi contro il lusso. Erano a tal punto magnificamente condite e appetitose che, Cicerone, che, pure, era molto cauto quando si trattava di funghi e ostriche, non poté esimersi, questa volta, dall’indulgere eccessivamente nel suo appetito. L’avvelenamento da funghi fu, probabilmente, la causa di morte dell’imperatore Claudio (10 a.C.-54 d.C.), se si presta fede alla notizia di Svetonio contenuta nell’opera Vita dei Cesari.
Plinio Il Vecchio fornisce delle indicazioni relative al riconoscimento dei funghi velenosi e offre, altresì, nove possibili rimedi, nel caso in cui si abbia la sfortuna di incappare, durante la raccolta, in una di queste pericolose tipologie. Se bolliti con carne, piccioli di pera o aceto – aggiunge – i funghi perderanno le loro caratteristiche nocive. L’aceto, in modo particolare, è considerato da Plinio come una sostanza diametralmente opposta a quella di cui sono formati i funghi e, dunque, appare particolarmente utile al fine di neutralizzarne la tossicità. Erofilo (IV sec. a.C.), un medico greco, scrisse un vero e proprio calendario dietetico, all’interno del quale forniva consigli relativamente al consumo di alcune particolari pietanze in un mese dell’anno piuttosto che in un altro. In modo particolare, i funghi rientrano tra gli alimenti che sarà opportuno consumare, a marzo, insieme a biete e datteri, e, ad ottobre, insieme ad asparagi, pere, mele, datteri, melograni, pistacchi…
Le fonti non trascurano di puntualizzarsi, in modo particolare, sul tartufo, che, afferma Plinio, cresce preferibilmente nei terreni aridi e sabbiosi e pesa, all’incirca, una libbra. Sostiene, inoltre, che vi siano due tipologie di tartufi: uno che tende a riempirsi di sabbia, che potrebbe essere, quindi, dannoso, nel momento in cui lo si addenta, e un altro privo di qualsiasi impurità. Narra un aneddoto, secondo cui un tale, addentando un tartufo, ci ritrovò dentro un denarius, cioè una monetina d’argento, cosa che gli causò la rottura di alcuni denti. Questo, agli occhi di Plinio, dimostrerebbe che il tartufo non è altro che un agglomerato di terra elementare, che assorbe, al suo interno, qualsiasi cosa si trovi sul terreno. Il ricettario di Apicio non manca di presentare numerose ricette per la preparazione dei funghi, in generale, per la conservazione dei tartufi e per alcune salse adatte al loro condimento, in particolare.
Per la conservazione dei tartufi, si metteranno questi in un barattolo, separati, evitando che vengano a contatto con l’acqua. Il barattolo dovrà essere conservato in un luogo fresco. Le salse da accompagnare ai tartufi saranno a base di pepe, ligustico, coriandro, ruta, salsa di pesce, miele e olio. Le spugnole si mangeranno in tanti modi diversi: per esempio, fritte, con una salsa acida a base di vino, oppure lessate, messe nel tegame con olio, salsa di pesce e miele. I funghi che crescono alla base dei frassini andranno conditi con pepe, mosto, aceto e olio. I tartufi, invece, potrebbero essere consumati infilzati in uno spiedo e salati, con olio, salsa di pesce, vino, pepe e miele. Quello che ci pare risulti evidente da questa, sia pur stringata, esposizione è l’imponente presenza dei prodotti del bosco e del sottobosco nella gastronomia greca e latina e l’importanza dell’alimentazione nell’antichità, intesa non solo come soddisfacimento di bisogni primari, ma anche come espressione della genialità e creatività dell’uomo.
Giacomo Dugo professore Emerito di Chimica degli Alimenti
Carlotta Crescenti docente di materie letterarie, latino e greco
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