Terrà

La schizofrenia verde dell’Europa

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di Gaetano Mineo

L’Unione Europea parla con due voci quando si tratta di biodiversità. Da un lato proclama con enfasi retorica che “la biodiversità diminuisce a un ritmo allarmante” e che essa è “essenziale tanto per gli esseri umani quanto per la protezione dell’ambiente e del clima”. Dall’altro, nelle concrete politiche implementate, finisce per penalizzare proprio quelle imprese agricole che potrebbero essere i custodi più naturali di questa diversità biologica.

La contraddizione è lampante. Bruxelles riconosce che quasi la metà del PIL globale – circa 40.000 miliardi di euro – dipende dall’ambiente naturale, e che settori cruciali come l’agricoltura e l’industria alimentare generano complessivamente 7.300 miliardi di euro per l’economia mondiale. Eppure, le politiche europee sulla biodiversità sembrano concepite da burocrati che non hanno mai messo piede in una fattoria.

Il paradosso è evidente: mentre si celebra il ruolo della natura come “nostro migliore alleato nell’affrontare la crisi climatica”, si caricano gli agricoltori di vincoli e normative che spesso rendono impossibile una gestione sostenibile ed economicamente viabile dei terreni. Si predica la necessità di “ripristinare la natura e preservarne la diversità biologica”, ma si ignora che sono proprio le aziende agricole tradizionali a mantenere vivi ecosistemi complessi, paesaggi rurali e pratiche colturali che hanno preservato la biodiversità per secoli.

La realtà è che molte delle misure proposte dall’UE per la protezione della biodiversità si traducono in burocrazia asfissiante, costi aggiuntivi insostenibili e vincoli che spingono le piccole e medie imprese agricole verso la chiusura. Il risultato? Abbandono delle terre, perdita di competenze tradizionali e, paradossalmente, impoverimento proprio di quella biodiversità che si dice di voler proteggere.

L’Europa ha bisogno di un cambio di rotta radicale. Invece di vedere gli agricoltori come nemici dell’ambiente, dovrebbe riconoscerli come partner strategici nella tutela della biodiversità. Serve una politica che incentivi maggiormente le buone pratiche agricole sostenibili anziché punire indiscriminatamente l’intero settore. Servono strumenti economici che premino chi mantiene e arricchisce la diversità biologica, non regolamenti che costringono alla resa.

La biodiversità non si salva con i proclami e le strategie sulla carta. Si salva sul campo, con politiche concrete che tengano conto delle esigenze economiche di chi lavora la terra. È tempo che l’Unione Europea abbandoni questa schizofrenia verde e trovi il coraggio di una politica coerente: una politica che protegga davvero la natura senza distruggere chi da sempre ne è il custode.

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