Occhiello
Arance italiane: buona produzione, meno i prezzi. Sicilia prima regione
Campagna in chiaroscuro per le arance italiane: l’ottimismo dell’ultima primavera ha infatti ceduto il passo a una campagna complicata. La stagione in corso, secondo il rapporto Ismea, è stata caratterizzata da un raccolto abbondante (+25-30%), di buona qualità ma purtroppo con prevalenza di calibri piccoli, laddove solo il prodotto di calibro medio-grande spunta quotazioni soddisfacenti per i produttori. Si conferma, inoltre, il calo del potenziale produttivo: -2,5% rispetto al 2019. La Sicilia resta la prima regione per superficie coltivata, ma è anche quella in cui si registra la maggiore riduzione su base annua. L’effetto Covid pesa favorevolmente sull’aumento dei consumi di arance in Gdo, visto che gli italiani riconoscono a questi frutti dei forti poteri antiossidanti. Ma i consumi casalinghi, non riescono a compensare gli effetti negativi dovuti alla chiusura dell’Ho.re.ca. Lo si legge nel focus elaborato da Ismea sulla campagna agrumicola italiana.
Un primo bilancio della campagna agrumicola italiana indica per il 2020/21 un aumento del raccolto di arance compreso tra il 25% e il 30% rispetto all’anno precedente. Dal punto di vista qualitativo, il prodotto presenta un’eccellente colorazione della buccia, una buona pigmentazione della polpa e un rapporto equilibrato tra acidi e zuccheri; tutte caratteristiche che soddisfano pienamente le aspettative dei consumatori. Di contro, si assiste a una prevalenza di calibri medi e piccoli che penalizzano le quotazioni all`origine.
Nel periodo ottobre 2020 – gennaio 2021
i consumi sono cresciuti dell’11% su base annua
Nell’attuale congiuntura di mercato quindi, spiega Ismea, risulta molto importante il ruolo svolto dall’industria dei succhi che, dopo l’azzeramento delle scorte dovuto a due campagne con scarsi raccolti, ritira e lavora ingenti quantitativi di arance, soprattutto frutti medio-piccoli, alleviando in tal modo la pressione dell’offerta, resa particolarmente pesante anche dal concomitante incremento della produzione mediterranea. Dalla domanda giungono segnali contrastanti. Da un lato, ci sono i dati incoraggianti sugli acquisti delle famiglie per il consumo domestico, in netta ripresa rispetto agli ultimi anni ma dall’altro, c’è il parziale blocco della ristorazione ha ridotto sensibilmente la richiesta alla fase di ingrosso dalla quale si stima comunque che passi circa il 20% delle vendite.
Le vendite al dettaglio sono in accelerazione anche in conseguenza della pandemia, grazie al ruolo di integratore naturale di vitamine e antiossidanti che il consumatore riconosce ad arance e agrumi in genere. Infatti, nell’ultimo anno, gli italiani hanno notevolmente incrementato il consumo di arance e l’effetto coronavirus, particolarmente evidente nelle prime settimane di lockdown, è proseguito anche nella prima parte della campagna 2020/21 con consumi che nel periodo ottobre 2020 – gennaio 2021 sono cresciuti dell’11% su base annua.
Sul fronte dell’import-export, bisogna ricordare che da circa vent’anni, l’Italia è un importatore netto di arance. Nonostante il buon livello quantitativo e qualitativo delle produzioni di Sicilia, Calabria e Puglia, le importazioni infatti superano ampiamente le esportazioni, determinando un passivo della bilancia commerciale che varia in funzione del livello di offerta interno e della destagionalizzazione dei consumi. La campagna 2019/20 si è chiusa con un passivo della bilancia commerciale di circa 60 milioni di euro. Un risultato che è conseguenza del record delle importazioni, oltre 223 milioni di kg, e dell’aumento del prezzo medio all’import (+27%). L`aumento delle importazioni è stato determinato dal livello particolarmente scarso della produzione nazionale 2019/20 e dalla domanda delle famiglie che invece è stata molto sostenuta, in particolare in concomitanza con la prima ondata della pandemia.
La Sicilia è la prima regione per superficie investita ad arance, con circa i due terzi del totale nazionale, ma allo stesso tempo è anche l’area che mostra la maggior riduzione su base annua
Oltre alla congiuntura sfavorevole, inoltre, il settore agrumicolo nazionale è penalizzato fortemente dai limiti insiti nella propria struttura. L`agrumicoltura è una realtà a forte connotazione mediterranea e sono coinvolte specifiche aree del Sud Italia. La filiera produttiva è estremamente concentrata geograficamente: due terzi delle arance sono prodotte in tre aree del Meridione: a Catania insiste circa un terzo della produzione nazionale, a Siracusa circa un quinto e nella provincia di Reggio Calabria il 10%. A livello nazionale, il potenziale produttivo ammonta a circa 80mila ettari.
Nel 2020 la superficie in produzione è diminuita del 2,5% su base annua e la flessione è ancora più ampia rispetto al dato medio dell’ultimo triennio (-3,5%). La Sicilia è la prima regione per superficie investita ad arance, con circa i due terzi del totale nazionale, ma allo stesso tempo è anche l’area che mostra la maggior riduzione su base annua (- 3,5%) a causa soprattutto della flessione nelle province di Catania (-500 ettari in produzione rispetto al 2019), Agrigento (-370 ettari) e Messina (-1.000 ettari).
La Calabria è la seconda regione italiana per superficie in produzione (circa il 20% del totale nazionale) e mostra una sostanziale stabilità del potenziale produttivo. A seguire si collocano Puglia e Basilicata con circa il 5% della superficie nazionale investita ad arance. Rispetto al 2019, queste regioni evidenziano un andamento contrapposto. La Puglia registra un incremento di circa 100 ettari della superficie in produzione (+2,4%), grazie all’aumento registrato nella provincia di Taranto mentre la Basilicata perde circa 50 ettari (-1,5%). A livello di produzione, l`eccessiva frammentazione della maglia poderale (la dimensione media delle aziende agrumicole è di 2,5 ettari) e gli impianti poco moderni e razionali determinano una minore produttività, una scarsa resistenza alle fitopatie (in particolare al virus della Tristeza) e un calendario di raccolta più breve rispetto ai nostri diretti competitor spagnoli. Dal punto di vista commerciale permane la scarsa propensione degli agricoltori ad associarsi in cooperative ed OP che seppure numerose rimangono di dimensioni economiche medio-piccole.
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