Terrà

Sviluppo del territorio, serve normare le “aree interne” della Sicilia

di Giovanni Sutera*

Spesso le aree interne, sono state confuse con le aree di montagna, escludendo ampi territori dai benefici previsti dalle normative che hanno riguardato questi luoghi, a iniziare dalla legge n.991/52, legge n. 1102/71, sino alla legge n. 97/94 per citarne solo alcune fra le più importanti. Anche la l.r. n. 26/88, specifica sulle aree interne, non ha prodotto i risultati sperati, pur riuscendo in alcuni dei suoi obiettivi, fra i quali la selezione e la formazione di un gruppo interdisciplinare di professionisti, che successivamente ha dato origine alla Direzione della Programmazione, che dalla fine degli anni Ottanta a oggi, ha seguito l’evolversi delle politiche strutturali dell’Unione Europea, attraverso la predisposizione dei programmi operativi per l’utilizzo dei Fondi Strutturali. Parimenti la Commissione Europea, con i propri interventi legislativi, ha cercato di focalizzare le politiche di sviluppo verso le aree meno progredite, differenziandole in funzione del loro ritardo in termini di reddito, occupazione, infrastrutture, servizi, all’interno delle macro aree individuate dagli obiettivi strutturali in aree svantaggiate e non svantaggiate, escludendo anche in questo caso, ampi territori che potrebbero invece rientrare nella prima categoria essendo zone depresse, economicamente deboli, carenti dei servizi fondamentali (istruzione, sanità, accessibilità).

Necessita pertanto, una effettiva identificazione delle “aree interne” sulla scorta di parametri socio-economici, demografici, strutturali, infrastrutturali, dei servizi alla popolazione, sui quali concentrare l’attenzione per costruire una strategia regionale efficiente ed efficace in termini di politiche pubbliche ma soprattutto di azioni e interventi per l’integrazione e il rilancio di questi territori. Le politiche dell’Ue, in ultimo con la programmazione comunitaria 2014/2020 e non solo, se si fa riferimento alla SNAI (Strategia Nazionale per le Aree Interne) strumento che aveva il ruolo di fungere da volano per ricollocare le “aree interne” della Sicilia al centro dell’economia della nostra regione, in questa difficile fase, valorizzando i luoghi, i saperi, le competenze, i beni materiali e immateriali e i collegamenti fra queste emergenze, al fine di mettere a sistema il policentrismo di queste aree in un contesto integrato con le aree metropolitane o comunque più progredite dell’isola, in effetti, non hanno raggiunto quel traguardo qualitativo e funzionale ideato e auspicato.

Risulta pertanto, prioritaria una strategia regionale che miri alla sicurezza delle popolazioni, alla tutela e salvaguardia del territorio e del paesaggio, alla difesa della biodiversità naturale, allo sviluppo di modelli di vita nelle aree interne che siano competitivi e complementari a quelle delle “aree urbane”, la valorizzazione dei centri storici, delle aree boscate, parchi, riserve, spesso mummificati, non accessibili, difficilmente fruibili, che possono creare nuove opportunità di lavoro, nei settori dell’agricoltura, del turismo, dei servizi sociali, tali da consentire alle popolazioni di crearsi una collocazione stabile e duratura anche in termini di crescita e di inclusione sociale. E’ fondamentale programmare per investire in queste aree, governare i processi di sviluppo, garantire i servizi essenziali alle popolazioni, la scuola, la salute, i trasporti, la connessione digitale alle aziende insediate, il decentramento delle attività e dei servizi della Pubblica Amministrazione, quali laboratori, istituti di ricerca, infrastrutture culturali, ricreative, sportive, case di cura e assistenza, centri di riabilitazione.

L’ambiente, l’agricoltura e l’alimentazione, rappresentano le tre “A”, punti di
forza delle aree interne dai quali partire

L’ambiente, l’agricoltura e l’alimentazione, rappresentano le tre “A” che costituiscono i punti di forza delle aree interne dai quali partire per costruire la programmazione regionale tenendo presente per effetto del policentrismo che caratterizza queste aree, la necessità di individuare gli interventi in funzione delle emergenze prioritarie che caratterizzano una determinata zona. In sostanza, appare imprescindibile promuovere politiche di rilancio delle aree interne in relazione alle potenzialità che rivestono l’agricoltura, l’ambiente e il paesaggio o altri elementi materiali o immateriali ivi presenti. Il ragionamento non può comunque ignorare una costante indispensabile che è rappresentata dall’accessibilità a queste aree, riguardo le reti e i collegamenti per la mobilità sia primaria che secondaria, al fine di migliorare l’accessibilità e accrescere la competitività del territorio. A tal proposito non si può disconoscere, secondo i dati del Dipartimento della Programmazione, come i tempi medi di realizzazione di un’opera pubblica rientrante nella categoria “grandi progetti” in Europa, sono di nove anni, mentre in Sicilia raggiungono i trent’anni.

Allo stesso modo non possiamo disconoscere la contesa fra Stato e regioni meridionali “ex obiettivo convergenza” per l’impiego delle risorse dei Fondi Strutturali, fra i piani operativi regionali e i piani operativi interregionali a regia “centralizzata” affidate ai vari ministeri. Il Programma di sviluppo rurale finanziato dal FEASR (fondo europeo agricolo di sviluppo rurale), già in questa fase transitoria (2021/2022) e in prospettiva nei documenti già elaborati dalla Commissione, ma ritengo anche del Parlamento, così come del Consiglio, dedica un ampio spazio al miglioramento delle prestazioni ambientali, alla modernizzazione, all’innovazione, alle infrastrutture e alla competitività, condizioni necessarie al fine di sviluppare ulteriormente l’economia rurale, il comparto agroalimentare e quello non alimentare e di migliorare la qualità di vita nelle zone rurali in un contesto di crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, i cui vantaggi dovrebbero essere tratti soprattutto dagli agricoltori delle aree ad alta ruralità che generalmente si identificano con le “aree interne”. Proprio in queste aree, si possono cogliere le sfide in materia di sicurezza alimentare, gestione sostenibile delle risorse naturali, perdita della biodiversità, esaurimento delle risorse idriche e della fertilità del suolo, che possono condurre a un rafforzamento della coesione territoriale e all’occupazione.

Per non parlare che oggi l’agricoltura non è più semplicemente legata alla produzione di materie prime alimentari (sicuramente importanti e indispensabili anche alla luce dell’incremento demografico nei prossimi decenni) ma diventa un settore che produce “beni pubblici” di cui l’opinione pubblica è sempre più attenta ed esigente. Di conseguenza, l’agricoltore, in queste zone diventa protagonista dell’economia e della società, proprio per la funzione multidisciplinare che esso svolge a servizio del territorio e delle comunità ivi presenti. Ed è questa la nuova consapevolezza che bisogna acquisire e che il legislatore deve saper tradurre in atti normativi. Come diceva l’allora commissario europeo all’agricoltura Ciolos, esistono diversi modelli di competitività e nel caso delle aree interne e di montagna l’agricoltura si identifica come produttore di “beni pubblici”, dove l’ambiente e la cura del paesaggio che rappresentano la centralità dei beni pubblici, concorrono altresì alle produzioni alimentari salutistiche, definendo un modello di competitività diversa ma altrettanto importante da sostenere e stimolare nell’interesse dell’economia e della società.

Ed è proprio in questo contesto, che, per il raggiungimento degli obiettivi di crescita equilibrata e sostenibile delle aree in ritardo di sviluppo, la Commissione, da tempo ha già previsto la possibilità per gli stati membri e le regioni di un concorso finanziario nazionale o regionale supplementare, senza che ciò comporti una rinazionalizzazione dei programmi di sviluppo rurale o l’inserimento di talune misure volontarie per adattare gli interventi alle diverse realtà, purché preventivamente notificate alla Commissione. Quanto detto, si traduce, che nella predisposizione dei PSR, oltre alle misure richiamate negli strumenti di programmazione, le regioni possono prevedere misure aggiuntive e/o risorse aggiuntive ordinarie di origine nazionale o regionale per talune aree, fra quelle già previste nell’ambito del FEASR purché indicate nel piano finanziario che accompagna i Programmi di sviluppo rurale. In definitiva, non possiamo che prendere atto di come sia cambiato il ruolo delle regioni nelle quali vigeva una specie di automatismo, per cui erano più erogatori di spesa che soggetti di programmazione; ora il loro grado di discrezionalità è notevolmente aumentato per cui dovranno dare corpo a una programmazione che sappia collegare risorse a obiettivi per guidare le scelte delle imprese e dei cittadini. Ed è questa una opportunità importante che potrà consentire alle “zone depresse” di beneficiare di risorse aggiuntive e di misure diversificate che nell’insieme potranno permettere di dare un forte impulso alla crescita e al riequilibrio socio-economico fra le “aree interne” e quelle definite “urbane”.

*Servizio 9 IPA Catania

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