Il rischio salute
Nitrati nelle acque, occhio all’uso di fertilizzanti in agricoltura
L’uomo assume nitrati attraverso acqua potabile, vegetali, intesi come verdure ed ortaggi, e non ultimo certi alimenti di origine animale. Secondo la World Health Organization (WHO) and il Decreto Legislativo nazionale 31/2001, il contenuto di nitrati nelle acque potabili deve essere inferiore ai 50 milligrammi per litro (mg/L). D’altra parte, le specie vegetali accumulano nitrati dall’acqua e dal suolo circostanti, in maniera strettamente dipendente dall’organo e dalla specie botanica e, quelli di interesse per l’alimentazione umana sono notoriamente così classificati:
i) ortaggi e verdure ad alto contenuto di nitrati (i.e., lattuga, cavolo rapa, lattuga cappuccina, crescione, bietola da costa, ravanello, rafano, rabarbaro, rapa rossa e spinacio).
ii) ortaggi e verdure a medio contenuto di nitrati (i.e., cima di rapa, indivia, finocchio, cavolo riccio, sedano, cavolo bianco, e cavolo verza).
iii) ortaggi a basso contenuto di nitrati (i.e., melanzana, fagiolino, cavolfiore, broccolo, cicoria, pisello, cetriolo, patata, carota, peperone, funghi, porro, cavoletto di Bruxelles, cavolo rosso, radice amara, asparago, pomodoro e cipolla).
Non ultimo, i nitrati possono essere assunti tramite certi alimenti di origine animale. A riguardo, prodotti a base di carne non trattata termicamente sono volutamente e comunemente aggiunti di nitrato di sodio e nitrato di potassio nella quantità massima di 150 mg/Kg, poiché trattasi di additivi alimentari (rispettivamente, E251 e E252) in grado di migliorare la conservabilità dei prodotti stessi, ai sensi del Regolamento UE 1129/2011. Nell’uomo, i nitrati assunti tramite gli alimenti e l’acqua sono assorbiti rapidamente dall’organismo e per la maggior parte escreti come tali. Una parte del nitrato assorbito dall’organismo viene tuttavia rimesso in circolo dalle ghiandole salivari e convertito in nitrito dai batteri del cavo orale. Il nitrito formatosi e assorbito a livello intestinale può ossidare l’emoglobina trasformandola in metaemoglobina, il cui eccesso riduce la capacità dei globuli rossi di legare e trasportare l’ossigeno nel corpo, portando ad una condizione di intossicazione nota come metaemoglobinemia.
Il nitrato convertito in nitrito potrebbe anche contribuire alla formazione di un gruppo di composti noti come nitrosammine, alcune delle quali ad azione cancerogena. La Commissione Europea ha chiesto di recente all’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) di riesaminare tutti gli additivi autorizzati prima del 20 gennaio 2009, compresi i sali di nitrato visti i potenziali effetti avversi per la salute del consumatore. L’attuale dose giornaliera ammissibile (DGA) per il nitrato, fissata dal disciolto Comitato Scientifico per l’alimentazione umana (SCF) della Commissione europea nel 1997 e dal Comitato congiunto FAO-OMS sugli additivi alimentari (JECFA) nel 2002, è pari a 3,7 mg/kg pc/die, equivalente all’assunzione di circa 260 mg/Kg di nitrato per un organismo adulto di circa 70 kg.
Nella fase di riesame, gli esperti EFSA hanno potuto ricavare una DGA per il nitrato in quanto non lo hanno ritenuto né genotossico, né cancerogeno (per sostanze potenzialmente dannose per il DNA o che possono provocare il cancro non è possibile stabilire un livello di sicurezza). Il gruppo scientifico ha infatti ritenuto che l’effetto più pertinente per poter stabilire un livello di sicurezza fosse l’elevata concentrazione nel sangue di metaemoglobina, causata dalla trasformazione dei “nitrati alimentari” in nitriti a opera della saliva. Sulla base di tale effetto il gruppo ha concluso che la DGA fissata dallo SCF (1997) tutela a sufficienza la salute del consumatore. A parte dovrebbero essere tuttavia trattati i nitrati provenienti dalle acque potabili, la cui assunzione sembrerebbe a tutt’oggi non essere scientificamente legata né un rischio maggiore di tumore né di metaemoglobinemia. Ciò per due principali ragioni:
1) alla luce dei considerevoli livelli di nitrato comunemente riscontrati nei vegetali e negli alimenti carnei, l’assunzione giornaliera di nitrato sarebbe maggiormente influenzata dal contributo di verdure, ortaggi e carne piuttosto che dal contributo dell’acqua. Pertanto, risulterebbe già di per sé complesso rilevare un effetto nocivo legato esclusivamente al nitrato nell’acqua considerando la contemporanea assunzione di alimenti che, come pocanzi discusso, possono avere un contenuto di nitrato molto variabile. A controprova, la letteratura scientifica evidenzia come l’effetto di tali variabili nell’interpretazione dei dati epidemiologici sul nitrato da acque potabili non sia stato mai preso in considerazione e come i dati forniti finora siano, conseguentemente, alquanto equivoci e non affidabili. Inoltre, i vegetali che mostrano un variabile contenuto di nitrato sono anche fonte di preziose molecole ad effetto antiossidante, che inibiscono i processi di nitrosazione e, quindi, la formazione endogena di nitrosammine. Pertanto, nel valutare il rischio legato all’esposizione di nitrati provenienti dall’ acqua potabile, si dovrebbe anche considerare -e controbilanciare- l’effetto della contemporanea assunzione di fonti alimentari, quali verdure e ortaggi, ricche in antiossidanti, che agiscono da inibitori dei processi di nitrosazione, e di fonti alimentari, quali carne e pesce, ricche in precursori “nitrosabili”, che al contrario promuoverebbero tali processi.
2) L’emivita del nitrato nel corpo è superiore alle 8 ore, e può ragionevolmente aumentare a seguito di pasti “ad alto contenuto di nitrati”. Un pasto a base di carne e spinaci -contenente fino a 3500 mg/kg di nitrato- ad esempio, sarebbe causa di elevati livelli di nitrati nel sangue per le successive 40 ore, e ciò interferirebbe inevitabilmente con la determinazione di un effetto nocivo legato alla sola assunzione di acqua, che mostra un valore di nitrati fino a 50-70 volte più basso. Inoltre, anche se è scientificamente noto che gli antiossidanti provenienti da fonti vegetali siano metabolizzati ed escreti in tempi relativamente brevi, l’effetto antiossidante rilasciato da tali molecole potrebbe permanere nel tempo a causa di una loro, seppur breve, interazione con altri composti implicati nel sistema di difesa antiossidante delle cellule. A riguardo, studi incentrati sull’assunzione di verdure ad alto contenuto di flavonoidi hanno dimostrato come il potere antiossidante di tali molecole, e quindi la loro capacità di inibire i processi di nitrosazione, riesca a protrarsi fino a 3-4 settimane dall’assunzione di tali alimenti.
Anche questi elementi agirebbero dunque da “confounding factors” nella dimostrazione del nesso causa effetto tra il nitrato proveniente dall’ acqua potabile e l’aumento presunto del rischio di certe patologie nel consumatore. Anche se ad oggi non è stato scientificamente possibile valutare i rischi di salute legati alla stretta assunzione di nitrato da acque potabili, è stato comunque possibile delineare delle stime di esposizione. Sulla base di dati riportati dalla Commissione Europea circa l’attuazione della “Drinking Water Directive”, e sulla base di dati riguardanti i livelli di nitrati nelle acque di falda provenienti comunque da profondità di estrazione compatibili con quelle dell’acqua potabile, la popolazione di ben 10 paesi europei, corrispondente a più di 9 milioni di persone, sarebbe esposta quotidianamente a livelli di nitrato che superano abbondantemente il limite normativo di 50 mg/L.
Dal momento che le incertezze esistenti non permettono di determinare un legame tra nitrato nell’acqua potabile ed aumento del rischio di patologie come la metaemoglobinemia o cancro, la comunità scientifica ha quindi già più volte proposto di alzare con un buon margine di sicurezza il limite di nitrato nelle acque potabili a 65-90 mg/L, suggerendo che i costi a tutt’oggi sostenuti per ridurre i livelli di tale specie chimica nell’acqua potabile non possono essere comparati a potenziali benefici per la salute e che, conseguentemente, la preoccupazione costruita attorno a tale questione altro non è che un esempio di ciò che Lomborg1 ha definito come “allarmi di minacce inesistenti che assorbono risorse finanziarie che potrebbero essere invece necessarie per affrontare altre minacce, quelle reali”. Stando all’ultimo monitoraggio dell’Arpa Sicilia (2019), si forniscono dei risultati apparentemente preoccupanti per quanto riguarda la contaminazione da nitrati delle falde acquifere siciliane, che spesso si trovano anche in corrispondenza di zone designate per l’estrazione di acque destinate al consumo umano.
In più di una su tre stazioni di monitoraggio, infatti, sarebbero state registrate concentrazioni medie annue di nitrati superiori al limite di 50 mg/L, indicativi di uno smodato, e sicuramente non sostenibile, uso di fertilizzanti in agricoltura. In un tal contesto, un programma di monitoraggio regionale, da cui derivino input che aiutino non solo a fissare degli obblighi nella gestione dei fertilizzanti e delle pratiche agronomiche ma anche a realizzare piani di concimazione sicuramente più ecosostenibili, è vivamente auspicabile. Tuttavia, più che monitorare i livelli di nitrati, il cui tenore massimo, come discusso, può ragionevolmente essere superiore ai 50 mg/L, si dovrebbe prestare una maggiore attenzione ad altri contaminanti, quali prodotti fitosanitari e metalli pesanti, la cui presenza non solo deprezzerebbe lo stato ecologico dei corpi idrici, ma potrebbe rappresenterebbe anche una concreta minaccia per la salute dell’uomo.
A cura di: dott.ssa Ambrogina Albergamo, dott.ssa Rossella Vadalà, dott. Michelangelo Leonardi, dott. Antonio Cambria e prof. Emerito Giacomo Dugo, del dipartimento BIOMORF dell’Università degli Studi di Messina.
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