Terrà

Nuova frontiera gourmet
La Sicilia cambia le regole, nasce aceto e non ci diventa: la nuova scommessa si chiama Ace.vù

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È figlio del fuoco e della terra, ma soprattutto di una visione agricola che guarda lontano. Si chiama Ace.vù (acronimo del progetto “Trasferimento di Innovazioni per la produzione e la commercializzazione di aceto siciliano di qualità superiore”) ed è il primo aceto siciliano biologico nato dall’Etna, prodotto direttamente da uve selezionate per essere aceto, non vino.

Una rivoluzione concettuale e produttiva, che segna la nascita ufficiale della prima filiera acetica dell’isola. Tre anni di lavori finanziati dalla misura 16.1 del PSR Sicilia 2014/2022 e che hanno lanciato non solo un nuovo prodotto, ma un intero modo di pensare la viticoltura e la trasformazione agroalimentare.

Un’aceto che racconta il paesaggio

La sfida è chiara: produrre un aceto che sia espressione autentica del territorio etneo. Per farlo, il progetto ha scelto vitigni autoctoni dalle caratteristiche organolettiche ideali per l’acetificazione, come Nerello mascalese e Carricante, e ha studiato un protocollo agronomico mirato.

“Abbiamo scelto di partire dalla vite con un obiettivo preciso: produrre aceto, non vino da acetificare in seconda battuta – ha dichiarato Franco Di Miceli, titolare dell’azienda Barone di Miceli e capofila del progetto –. Così superiamo il pregiudizio che l’aceto sia un ripiego. Il nostro è un prodotto di alta gamma, pensato per la ristorazione gourmet e perfino per l’alta pasticceria”.

Due metodi di produzione, un solo obiettivo: l’eccellenza

La fase sperimentale ha testato due metodi di produzione: quello statico, più tradizionale, con affinamento in botti di castagno e ciliegio, e quello sommerso, innovativo e tecnologico, grazie all’installazione di un impianto pilota in pieno contesto etneo.

Quattro i campioni sperimentali realizzati da altrettante aziende partner del progetto, in collaborazione con l’Università di Catania (Dipartimento Di3A) e l’Università di Modena e Reggio Emilia, forte della sua lunga esperienza nel settore acetico.

“Abbiamo voluto coniugare sostenibilità, innovazione e valorizzazione territoriale” – hanno spiegato Gaetano Chinnici e Giovanni La Via, docenti responsabili scientifici del progetto – “offrendo alle aziende strumenti concreti per diversificare e restare competitive”.

Dalla vigna alla bottiglia: il protocollo etneo

Il cuore pulsante del progetto è il protocollo produttivo, che definisce i parametri ottimali per le uve destinate all’aceto: pH tra 3 e 3,5, acidità tra 5 e 7 g/l, gradazione alcolica non superiore a 12% vol., ma senza sacrificare le caratteristiche aromatiche e fenoliche. “È un lavoro che parte in vigna e guarda lontano – ha sottolineato Giuseppe Trovato, innovation broker – coinvolgendo agricoltori, enologi, ricercatori e aziende in un percorso che ha saputo fondere sapere accademico e operatività aziendale”.

Il giudizio del consumatore: curiosità e potenziale

Ace.vù non è solo un esperimento tecnico. Un’indagine di mercato condotta durante il progetto ha coinvolto consumatori di diverse età, genere e background, rilevando le caratteristiche più apprezzate per un aceto “vulcanico”.

Per l’aceto bianco: aspetto limpido, sapore agrodolce, profumo con note legnose e certificazione ambientale. Per quello rosso: colore bruno intenso, densità e odore marcato di legno. Sostenibilità e qualità risultano fattori chiave.

Un futuro che sa di aceto (e di innovazione)

Ace.vù è più di un prodotto: è un modello. Dimostra che anche in Sicilia è possibile costruire filiere nuove, con alto valore aggiunto e fortissimo legame con il territorio. Il tutto in chiave biologica, sostenibile e ad alto contenuto di know-how.

“Un progetto come questo può segnare l’inizio di una vera filiera acetica siciliana – ha dichiarato Maria Gullo, dell’Università di Modena – e posizionare l’Etna tra i territori d’eccellenza non solo per il vino, ma per l’aceto gourmet”.

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