Innovazione tecnologica
Gestione della salinità dei suoli, le strategie per una produzione agricola sostenibile in Sicilia
di Davide Farruggia e Mario Licata*
Nell’attuale scenario dei cambiamenti climatici, l’impiego di acque salmastre in agricoltura rappresenta una preziosa opportunità per ridurre la dipendenza da risorse idriche convenzionali e per estendere gli areali di coltivazione in ambienti altrimenti poco produttivi, ma richiede allo stesso tempo attenzione per mitigare i suoi effetti potenzialmente negativi dal punto di vista agronomico ed ambientale. Secondo un recente studio della FAO, il 9% della superficie mondiale, ed in particolare le aree costiere, risulta essere colpito da processi di salinizzazione delle risorse idriche e dei suoli, dovuti in parte a fenomeni naturali ed in parte ad attività antropiche.
Nella regione mediterranea, il 25% delle terre coltivate irrigate è interessato da processi di salinizzazione di livello da moderato ad elevato, che portano alla progressiva degradazione dei suoli ed alla conseguente riduzione della produzione agricola. In Sicilia, in particolare, le aree colturali sono vulnerabili a causa della combinazione degli effetti del clima semiarido, della sempre minore disponibilità di risorse idriche convenzionali e dell’avanzamento del cuneo salino. Varie fonti evidenziano che le falde acquifere siciliane, molte delle quali costiere, sono soggette ad intrusioni marine, aggravate dall’eccessivo prelievo di acqua per scopi agricoli. La conseguente salinizzazione dei pozzi, unita alla scarsità ed irregolarità di distribuzione della pioggia, induce molto frequentemente gli agricoltori a ricorrere all’uso di acque salmastre aventi caratteristiche qualitative significativamente inferiori rispetto alle risorse idriche tradizionali.
La letteratura agronomica evidenzia che l’impiego di acque salmastre per scopi irrigui, nel medio e lungo periodo, se da un lato consente di implementare la disponibilità di acqua per l’irrigazione, dall’altro può accelerare la degradazione del suolo e compromettere la sostenibilità dell’attività agricola. La progressiva salinizzazione del suolo riduce, infatti, il contenuto di sostanza organica, il potere assorbente, la capacità di infiltrazione dell’acqua, indebolisce la struttura ed altera la stabilità degli aggregati tellurici.
Inoltre, l’accumulo di sali causa l’aumento del pH del suolo, limitando la disponibilità di alcuni nutrienti essenziali per le piante, peggiorando la fertilità chimica del suolo ed influenzando negativamente la crescita delle colture agrarie. Queste ultime differiscono significativamente tra loro in base alla capacità di tollerare livelli differenti di salinità nel suolo, come attenzionato dal miglioramento genetico. Come riferito da diversi autori, la tolleranza alla salinità delle piante dipende da fattori genetici e biochimici, che determinano la loro capacità di gestire l’accumulo di sali nei tessuti vegetali mantenendo un bilancio idrico e nutrizionale ottimale, indispensabile per la crescita.
Uno dei principali meccanismi di adattamento delle piante è la capacità di escludere il sodio dall’assorbimento radicale o di limitarne il trasporto verso le foglie. Un altro importante processo fisiologico è l’osmoregolazione, che permette alle piante di mantenere il bilancio idrico su buoni livelli anche in ambienti con elevata pressione osmotica. Le piante producono ed accumulano diverse sostanze, amminoacidi, enzimi e fitormoni, che contribuiscono a bilanciare la pressione osmotica interna. Per tali scopi, l’applicazione radicale di alcuni microrganismi, come i batteri promotori della crescita delle piante ed i funghi micorrizici arbuscolari, può contribuire a ridurre l’assorbimento di ioni tossici come sodio e cloro.
Alcuni batteri, come ad esempio quelli appartenenti ai generi Azospirillum e Pseudomonas, producono acido indolacetico ed altre sostanze bioattive che stimolano lo sviluppo radicale e favoriscono l’assorbimento di nutrienti essenziali, contrastando la competizione osmotica dovuta all’eccessiva concentrazione di sali nella rizosfera. Altri batteri producono composti osmoprotettori, come proline e zuccheri, che aiutano le piante a mantenere l’equilibrio osmotico ed a ridurre lo stress salino. In agricoltura, al fine di contrastare gli effetti della salinità, la gestione ottimale del suolo prevede tradizionalmente l’applicazione di lavorazioni a basso impatto ambientale come il minimum tillage o lo zero tillage al fine di evitare fenomeni di compattazione del terreno e mantenere una buona porosità.
Un’altra tecnica agronomica efficace è il leaching, o lavaggio dei sali, che consiste nell’applicazione, tramite l’irrigazione, di quantità di acqua al suolo, in eccesso rispetto al fabbisogno idrico colturale, al fine di disciogliere e trasportare i sali verso gli strati profondi del terreno, lontano dalla zona radicale. Come dimostrato da diversi studi condotti nell’area mediterranea, l’impiego di impianti irrigui a microportata di erogazione consente di risparmiare acqua e di limitare l’accumulo di sali nella rizosfera. Tuttavia, sembra necessaria una alternanza tra acque convenzionali ed acque salmastre considerando la diversa sensibilità delle colture agrarie alla salinità nelle varie fasi fenologiche, che risulta decrescente dalla fase di germinazione a quella di maturazione.
Anche l’impiego della pacciamatura con teli neri biodegradabili riduce sensibilmente la salinità del suolo, in quanto contribuisce a limitare l’evaporazione e la risalita capillare dei sali verso la zona radicale. Una ulteriore tecnica agronomica è rappresentata dall’impiego di compost ed altri ammendanti. Questi materiali limitano l’eccessiva compattazione dei suoli, migliorano la porosità e la capacità di ritenzione idrica e forniscono una riserva di nutrienti che sostiene la crescita delle piante. L’applicazione di altri materiali come il gesso (solfato di calcio) rappresenta una tecnica per ridurre la sodicità, poiché il calcio permette di rimuovere il sodio in eccesso dal suolo. Una volta applicato, il gesso favorisce il rilascio del sodio, che viene poi dilavato attraverso l’intervento irriguo.
Diversi studi, hanno evidenziato che il gesso permette di mantenere su livelli ottimali i rapporti potassio/sodio e calcio/sodio, consente di ridurre il pH, fornendo alle colture la necessaria nutrizione. Altri autori riportano che il contenuto di zolfo all’interno del gesso consente di aumentare la tolleranza e la resistenza delle piante a fattori di stress biotici e abiotici. Accanto ai benefici che le tecniche agronomiche tradizionali consentono di conseguire per limitare l’eccessiva salinità dei suoli, occorre evidenziare una serie di criticità legate alla disponibilità dell’acqua e dei materiali.
In tale contesto, un grande supporto per gli agricoltori potrebbe provenire dall’impiego di sensori prossimali da applicare alle piante ed al suolo, sfruttando i principi dell’agricoltura 4.0. Tali sensori consentono di monitorare in tempo reale il livello di salinità, il contenuto di umidità e la disponibilità di nutrienti nel suolo, e lo stato di salute delle colture. Questi sensori, spesso collegati a sistemi di gestione tramite Internet of Things, forniscono informazioni dettagliate ai tecnici ed agli agricoltori, che possono così adattare l’irrigazione e la fertilizzazione in modo più preciso al fine di ridurre l’accumulo di sali nel suolo.
L’integrazione di pratiche agronomiche sostenibili e di agricoltura di precisione rappresentano sicuramente soluzioni promettenti per ridurre l’impatto della salinità sull’attività agricola, specialmente in regioni vulnerabili come la Sicilia. Affrontare la sfida della salinizzazione dei suoli richiede investimenti in tecnologie innovative, ricerca scientifica ed una maggiore consapevolezza tra gli agricoltori sull’importanza dell’adozione di pratiche adeguate. Solamente attraverso un approccio integrato sarà possibile garantire un futuro produttivo e sostenibile per l’agricoltura siciliana.
*Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali, Università degli Studi di Palermo – davide.farruggia@unipa.it
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