
Patentini, formazione e controllo: come la Sicilia sta costruendo dal basso una filiera del tartufo moderna e sostenibile
di Dario Cataldo
Il tartufo siciliano, per secoli conosciuto solo da raccoglitori appassionati e appannaggio di un ristretto circuito di consumatori locali, sta vivendo un momento di svolta. A segnare questo passaggio è il bilancio tracciato dall’Assessorato Regionale dell’Agricoltura sui primi mesi di applicazione della normativa che ha introdotto, anche in Sicilia, un sistema regolamentato per la raccolta. Il rilascio dei patentini, l’organizzazione dei corsi, la creazione di un organismo di coordinamento e le prime misure per la tutela ambientale e la valorizzazione economica non rappresentano soltanto un insieme di atti amministrativi, ma un segnale chiaro: la Regione vuole trasformare il tartufo da risorsa di nicchia a volano di sviluppo rurale e turistico.
In pochi mesi sono stati rilasciati 244 attestati di idoneità e 22 tesserini che hanno permesso ad altrettanti raccoglitori di trasformando un’attività un tempo dominata da pratiche informali in un percorso qualificato e trasparente. Numeri ancora piccoli rispetto ad altre realtà italiane, ma che testimoniano la rapidità con cui la Sicilia è riuscita a colmare un vuoto normativo che durava da troppo tempo.
Una cornice normativa solida
Il cuore del nuovo sistema è rappresentato dalla Legge Regionale n. 35 del 2020, che ha recepito i principi della storica legge nazionale n. 752 del 1985. A rafforzarne l’impianto sono arrivati i decreti attuativi del 2025 (D.D.G. 341 e D.D.G. 5771), che hanno introdotto criteri stringenti per la formazione, l’esame di idoneità e il rilascio dei tesserini.
La cabina di regia è affidata al Co.Re.Ta.S. di Cianciana (Ufficio di Coordinamento Regionale Tartufi Sicilia), istituito con il D.D.G. 7342 del 2024. Un organismo che non si limita a gestire autorizzazioni, ma che coordina corsi, monitora le tartufaie, tiene il dialogo con istituzioni e operatori, e soprattutto garantisce che il sistema non resti sulla carta.
Il patentino
Ottenere il patentino non è un atto formale: occorre seguire un corso di almeno 20 ore e superare un esame con 25 quesiti a risposta multipla. Non mancano i contenuti pratici: dalla biologia del tartufo alle tecniche di ricerca, dalla tracciabilità alimentare al benessere del cane da tartufo. Un bagaglio di conoscenze che rende il raccoglitore un vero operatore consapevole.
Il tesserino, valido in tutta Italia, ha durata quinquennale ed è soggetto a rinnovo annuale: 50 euro per gli amatoriali, 150 per i professionali. Questa distinzione è una delle novità più importanti: da un lato chi vive la raccolta come passione, dall’altro chi la integra al proprio reddito agricolo o forestale. Una differenziazione che rende il settore più trasparente e più vicino alle logiche di un vero comparto economico.
Risorse vincolate e ritorno ai territori
Un’altra innovazione riguarda la destinazione delle risorse generate da tasse e sanzioni. In Sicilia, questi proventi confluiscono in un capitolo vincolato del bilancio regionale, utilizzabile solo per attività legate al tartufo: conservazione delle specie autoctone, promozione culturale, fiere e percorsi enogastronomici. In altre parole, ogni euro torna nelle comunità e negli ecosistemi che rendono possibile la raccolta.
Dal punto di vista ambientale, la Regione ha rafforzato i vincoli per la tutela delle tartufaie naturali e incentivato la creazione di tartufaie coltivate e controllate. L’obiettivo è duplice: proteggere il patrimonio esistente e stimolare nuovi investimenti privati. La tracciabilità obbligatoria del prodotto, con l’indicazione della specie e della zona di raccolta, chiude il cerchio della trasparenza, garantendo al consumatore qualità e identità.
Sicilia e il confronto con le altre regioni
Per capire la portata della riforma siciliana è utile guardare a chi, da tempo, ha fatto della tartuficoltura un settore consolidato. Marche, Umbria e Piemonte rappresentano tre modelli diversi, ma ugualmente significativi.
Nelle Marche il comparto ha dimensioni imponenti: oltre 10.000 cavatori con patentino, di cui circa 8.000 nella sola provincia di Pesaro. La produzione annua sfiora i 400 quintali tra tartufo bianco e nero pregiato, con un valore commerciale stimato intorno a 5-6 miliardi di euro. Numeri che collocano la regione tra i leader assoluti. A questo si aggiungono quasi 1.700 ettari di tartufaie impiantate e un sistema di incentivi che, nel quadro del Complemento di Sviluppo Rurale 2023-2027, destina 1,7 milioni di euro per piante certificate, recinzioni e micorizzazione. Fiore all’occhiello è il Tavolo permanente di filiera, dove siedono istituzioni, produttori e trasformatori: un modello di governance partecipata che potrebbe ispirare anche la Sicilia.
L’Umbria, terra di boschi e biodiversità, vanta la presenza di tutti i genotipi di tartufo commercializzabili. La produzione media è di circa 25 tonnellate annue, con un valore economico di oltre 8 milioni di euro. Qui la raccolta non è più folklore, ma attività regolamentata e sostenibile: tesserini, controlli, moduli e tasse di concessione finanziano la tutela delle aree tartufigene. La Regione ha trasformato il tartufo in un elemento strutturale dell’economia rurale, integrando raccolta, tutela e promozione turistica.
In Piemonte, patria del rinomato tartufo bianco d’Alba, la Legge Regionale n. 16 del 2008 disciplina raccolta, coltivazione, valorizzazione e persino la creazione di consorzi volontari per la difesa del tartufo. Le procedure per il rilascio dei tesserini sono consolidate e in alcune province, come Cuneo, l’amministrazione locale gioca un ruolo diretto. Qui la regolamentazione è ormai matura e stabile, garantendo rapporti trasparenti tra raccoglitori, mercato e istituzioni.
Dove si colloca la Sicilia
Rispetto a queste realtà, il percorso siciliano va considerato al punto di partenza: fino a pochi anni fa in Sicilia non esisteva alcuna regolamentazione organica. Oggi la Regione dispone di una legge, di decreti attuativi, di un ente di coordinamento e di un sistema di formazione e tracciabilità.
L’Assessorato ha già in programma un protocollo d’intesa con il Co.Re.Ta.S. per avviare nuove attività di ricerca, protezione e sviluppo della tartuficoltura anche nelle aree del Demanio Forestale Regionale. Un piano che proietta la Sicilia in una dimensione europea, dove ambiente, cultura ed economia dialogano.
La sfida, oggi, è trasformare la normativa in un’opportunità concreta. Non basta rilasciare patentini: serve costruire filiere, incentivare gli investimenti, comunicare al mercato la qualità del tartufo siciliano. Guardando ai numeri delle Marche, ai modelli umbri e alla stabilità piemontese, la Sicilia può costruire un percorso unico: partire da un ritardo storico per affermarsi come laboratorio innovativo del Mediterraneo.
Il tartufo, da tesoro nascosto nei boschi, diventa così un bene regolamentato, tracciabile e sostenibile. E, soprattutto, un simbolo di come le politiche pubbliche, quando sanno unire visione strategica e capacità organizzativa, possano cambiare il destino di interi territori.
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