Terrà

Il libro
I quaderni di NeoRuralità, un sapere vero e schietto

di Nino Sutera

I quaderni di NeoRuralità vogliono rappresentare un momento di riflessione e di confronto, aperto a tutti coloro i quali ritengono che il futuro non si prevede ma si costruisce. Peppino Bivona, agronomo, giornalista, presidente della Libera Università Rurale dei Saperi & dei Sapori Onlus, già direttore generale dell’Ente Sviluppo Agricolo, profondo conoscitore delle tematiche legate al territorio, alla storia (dalla cultura locale all’alimentazione), ci consegna un’opera straordinaria, che meriterebbe di essere adottata negli istituti scolastici, per tramandare un sapere vero, schietto, senza condizionamenti di rito.

Gaetano Basile nella prefazione evidenzia l’antico rapporto dell’autore, con l’ulivo e con la terra. E scrive.

Peppino Bivona con l’ulivo ha un rapporto antico. Meglio ancora è antico il suo rapporto con la terra tanto da averne fatto il suo lavoro, la sua professione. Nessuno come lui conosce i mille segreti degli ulivi, delle drupe, dell’olio e di come giudicarlo. E a lui ricorro sempre quando mille dubbi mi assalgono su questa pianta misteriosa, strana, bizzarra. Biennale, ma tanto antica e sacra da accreditarne l’invenzione a una divinità, Atena la saggia. Confesso di aver conosciuto tardi sia la pianta che l’olio d’oliva. In casa nostra, cittadini palermitani d’antan, si cucinava al burro oppure con lo strutto.

 Che chiamavamo “saìmi”, come giustamente si dice nella nostra lingua. L’olio d’oliva nostrano ci arrivava una volta l’anno dalle campagne di Castelvetrano o Carini in otri puzzolentissimi da cui si riversava in una enorme giara. Recipiente di un bel colore nocciola lucido, panciuto ed elegante, che mi riportava sempre a Pirandello e al suo Don Lollò Zirafa in lite con Zi’ Dima. Ricordo che ogni anno c’era la solita disputa su quanti “cafisi” occorressero per i dodici mesi successivi. La disputa non era peregrina in quanto il “cafisu”, da quanto ne dedussi, era più che una unità di misura per l’olio, un concetto astratto, quasi filosofico, giacché quello palermitano, pari a 16 litri, raramente coincideva con quello di altri paesi o province siciliane. E da qui discussioni a non finire… Quell’olio paesano si usava soltanto per preparare salse e per friggere il pesce tre volte a settimana come era d’uso, e i tocchetti di melanzana per le solenni caponate estive. Pure come lubrificante generico e medicina per “ingorghi di stomaco”.

Bastava attaccarsi alla bottiglia fino a quando qualcuno decideva che bastasse. Per le cotolette panate si usava una padella in ferro, sempre la stessa, in cui si mettevano sempre un paio di cucchiai di strutto; per le arancine era previsto un particolare tegamino che ne conteneva tre alla volta in abbondante strutto che ribollendo le ricopriva. Poi si mettevano a scolare sulla “carta paglia” per quelle due ore circa che secondo tradizione servivano a portarle alla temperatura ritenuta “giusta” per essere mangiate. Perché ci insegnavano fin da piccoli che le arancine vanno mangiate tiepide e mai calde. Lo stesso pentolino veniva usato per la frittura delle “scorze” dei cannoli. Che si facevano in casa. L’olio d’oliva “buono” della mia infanzia fu in pratica soltanto quello che si usava a crudo sulle insalate e che i miei nonni facevano venire dalla Toscana o dalla Liguria tramite un tortuoso giro di amicizie e parentele.

Pure questo arrivava una volta l’anno, spedito per ferrovia, e contenuto in eleganti “buattoni” di latta con belle immagini a colori: Garibaldi, Mazzini, Cavour e re Vittorio Emanuele “Padri della Patria”, oppure le eroiche gesta dei Garibaldini, gli Alpini con le montagne innevate sullo sfondo, i Bersaglieri a Porta Pia, Napoli e il Vesuvio, la basilica di san Pietro, il Duomo di Milano… anche se quell’olio veniva da regioni che non c’entravano per nulla con le belle illustrazioni. Diventammo adulti in poco tempo grazie e quella gente che ci accolse con affetto insegnandoci tra le altre mille cose, ad amare la terra. Ancora oggi, quando mangio una fetta di pane casereccio caldo con un filo d’olio sopra ritorno a quelle storie, a quella cultura che tu sei ancora in grado di trasmettere con le tue conoscenze, con il tuo amore. Quelle che leggerete sono come pagine di un romanzo, intriganti, ricche di notizie per nulla scontate. Sono state scritte perché non si dimentichi, per lasciare agli altri il proprio sapere, le proprie emozioni, le proprie scoperte. Per tutto questo, grazie.

Con affetto, Gaetano Basile

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