Pietra su pietra, l’anima Unesco della Sicilia: i muretti a secco tra abbandono e rinascita
di Dario Cataldo
Nel cuore della Sicilia più autentica – tra le ondulate colline degli Iblei, lungo i pendii scuri dell’Etna, nelle campagne dorate di Noto – si stende un patrimonio silenzioso e millenario: i muretti a secco. Sono architetture senza architetti, poesie di pietra incastrate con pazienza infinita, senza malta e senza fretta. Strutture di un’essenzialità disarmante, eppure cariche di un significato profondo: raccontano storie di fatica, identità e un rapporto simbiotico con la terra.
Bonifiche di campi pietrosi, delimitazioni di confini, terrazzamenti che strappano suolo fertile al declivio. Nel 2018, l’Unesco ha ufficialmente riconosciuto questa sapienza antica, iscrivendo “L’arte dei muretti a secco” nel patrimonio culturale immateriale dell’umanità, un sapere che intreccia indissolubilmente l’uomo al suo ambiente.
Un’ecologia di pietra: oltre il confine
La tecnica, tramandata di generazione in generazione, è un miracolo di ingegno semplice: selezione accurata delle pietre, incastro naturale, assenza totale di leganti. Ma il muretto a secco è molto più di un semplice recinto. È un sistema ecologico complesso: regola i versanti, contrasta l’erosione, è una spugna naturale che trattiene l’acqua piovana, protegge microclimi e offre rifugio a una miriade di forme di vita.
È l’infrastruttura verde che ha permesso alla civiltà contadina di modellare e preservare il paesaggio. Oggi, però, questo equilibrio è in pericolo. La manutenzione richiede abilità speciali, che si imparano solo stando accanto a chi le possiede, osservando e sporcandosi le mani. Un sapere orale e pratico che, con l’abbandono delle campagne, rischia l’estinzione.
La scommessa di Pantelleria e il dramma delle eredità
Un segnale di resistenza arriva dall’isola di Pantelleria, dove il Parco Nazionale ha attivato un corso teorico-pratico per formare nuovi costruttori, guidati dal maestro Pietro Della Monica. Tuttavia, un altro insidioso nemico minaccia queste strutture: la litigiosità ereditaria. I terreni delimitati dai muri appartengono spesso a famiglie frammentate da successioni intricate e divisioni mai chiarite.
Quando manca un erede chiaro che si faccia carico del restauro, o quando la proprietà è contesa, il muretto cade in rovina. Le pietre rotolano via, e con loro si spezza il filo che per secoli ha unito le comunità al loro territorio.
Vino, turismo e Unesco: la ricetta per salvare i muri
La politica siciliana sta tentando di reagire. Esemplare è il progetto “Di-vino”, finanziato dal PSR Sicilia, che vede l’Università di Catania alleata con cinque prestigiose cantine etnee (Benanti, Cottanera, Graci, Russo, I Custodi delle Vigne dell’Etna). L’obiettivo? Trasformare i vigneti terrazzati in palcoscenici per esperienze immersive: visite guidate, storytelling del paesaggio, attività culturali e artistiche, come gli scatti del fotografo Leif Carlsson che catturano le geometrie severe dei muri di pietra lavica.
L’aspetto economico è cruciale: uno studio accademico del 2022 ha dimostrato che cittadini e visitatori sono disposti a pagare per preservare i muretti, soprattutto se consapevoli del loro valore Unesco. La designazione internazionale, quindi, può essere un volano.
L’altro volto della crisi: i fondi Inutilizzati
Non tutti i piani, però, raggiungono l’obiettivo. Emblematico è il caso del “Progetto Monte Minardo” ad Adrano: quasi un milione di euro stanziati per la tutela forestale e il recupero dei muretti a secco, finiti nel nulla dopo la rinuncia del proponente.
Un finanziamento inutilizzato che racconta di una fragilità progettuale e di un’assenza di supporto tecnico. Dimostra che i bandi da soli non bastano: serve uno sforzo coerente da parte di tutti gli attori, competenza nella progettazione e un supporto concreto nella gestione delle complessità, come quelle legate alle eredità.
Dalla memoria al futuro: il muretto come antidoto alla crisi climatica
Storicamente, i muretti a secco sono la testimonianza di un’arte del sopravvivere con ciò che la terra offre. Trattati agronomici dell’Ottocento parlano dei “cumuli di pietra” tolti dai campi prima di arare; nella memoria popolare, il “massaro” che sistemava bene le pietre non si garantiva solo un campo pulito, ma un terreno duraturo, meno esposto all’erosione.
Oggi, di fronte all’emergenza climatica, con piogge sempre più violente e il rischio desertificazione, queste strutture tornano ad essere attualissime. Sono antidoti non decorativi al dissesto idrogeologico, regolatori naturali del ciclo dell’acqua. Salvarle significa investire sul futuro, facendole rivivere attraverso l’artigianato, un turismo consapevole e progetti culturali radicati nelle comunità.
Più di un muro, un’identità
Alla fine, il patrimonio dei muretti a secco non è solo fatto di pietra. È memoria collettiva, è competenza antica, è responsabilità verso il futuro. Quando si parla di rilancio del turismo rurale, la Sicilia ha una carta vincente unica: può fondare il suo appeal su ciò che è autentico e irripetibile. Quei muri di lava e calcare non delimitano solo fondi, ma racchiudono l’anima di un’isola. Difenderli, oggi, non è un atto di nostalgia. È difendere la Sicilia stessa.
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