
Parla l'esperto
Miele siciliano, finanziamenti certi ma “servono le OP come nel settore ortofrutticolo per crescere davvero”
Eliminare sprechi e duplicazioni. E’ questa, in estrema sintesi, la nuova strategia apicola adottata dalla Regione Siciliana e che si fonda su un principio di copertura “a scacchiera”, per garantire un sostegno capillare e senza sovrapposizioni a tutti gli operatori, stanziali e nomadi. Una nuova strategia integrata per la tutela e lo sviluppo del comparto apistico e che è già protagonista nei due bandi complementari finanziati rispettivamente dal FEAGA e dal FEASR. E’ opportuno ricordare che la Sicilia si colloca tra le regioni italiane con il maggior numero di alveari registrati ufficialmente in banca dati, insieme a Calabria e Piemonte, rendendo strategico l’intervento pubblico in questo settore.
“L’amministrazione regionale intende proteggere al cento per cento tutti gli alveari presenti sul territorio”, afferma Anna Maria Pileri, dirigente dell’unità operativa OCM Unica settore vegetale zootecnico dell’Assessorato regionale Agricoltura. “Rispettiamo il principio della non sovrapposizione dei fondi – aggiunge – quindi i due bandi si integrano perfettamente: gli apicoltori possono accedere a entrambe le misure, purché rispettino i requisiti specifici previsti per ciascuna linea di finanziamento”.
Gli apicoltori nomadi, in particolare, possono beneficiare di entrambi gli strumenti, adattando la collocazione degli alveari alle diverse opportunità offerte. Nel bando agroambientale, tuttavia, è vietato posizionare gli alveari in aree intensive come agrumeti o coltivazioni cerealicole: la misura privilegia le zone di vegetazione spontanea mediterranea, dove le api possono bottinare da piante erbacee e specie autoctone, garantendo pollini diversificati e di maggiore qualità.
Una programmazione certa fino al 2027
Il finanziamento del settore apistico si inserisce in una programmazione pluriennale garantita dal Ministero fino al 2027, nell’ambito degli interventi settoriali previsti dal Piano Strategico della PAC. La disponibilità delle risorse è certa e strutturata, consentendo all’amministrazione regionale di personalizzare alcuni aspetti del bando entro i margini di flessibilità previsti dalla normativa europea.
“Distribuiamo annualmente le risorse che la Commissione Europea e lo Stato ci assegnano – sottolinea la dirigente -. Seguiamo la struttura che il PSP ci impone, ma dove abbiamo facoltà di personalizzazione interveniamo per adattare le misure alle specificità del territorio siciliano. Ad esempio, abbiamo introdotto criteri di rappresentatività per le associazioni, pur nei limiti consentiti dalla normativa nazionale”.
Proprio sul tema dell’aggregazione emerge uno dei nodi critici del settore. A differenza di comparti più strutturati come l’ortofrutta o l’olio, nell’apicoltura mancano ancora le Organizzazioni di Produttori (OP) riconosciute a livello europeo. Questa assenza rappresenta un limite significativo per lo sviluppo del comparto.
Il nodo dell’aggregazione: mancano le OP
“Nel settore apistico non abbiamo le OP, quelle riconosciute con diritti, doveri, oneri e onori specifici”, ammette con franchezza Pileri. “Posso fare il confronto perché mi occupo anche delle organizzazioni di produttori di frutta e olio: la differenza è abissale – evidenzia -. Le OP sono entità fondamentali per i produttori, hanno vincoli rigidi ma beneficiano dell’aiuto unionale in modo strutturato e continuativo”.
Nel comparto apistico, invece, l’aiuto comunitario viene erogato indistintamente a singoli apicoltori e associazioni, senza la strutturazione che caratterizza le OP. Questo genera anomalie che i tecnici stessi definiscono “allarmanti”: un socio può appartenere contemporaneamente a più associazioni, figurando quindi più volte nei bandi. Una situazione impensabile nelle OP dell’ortofrutta, dove la rappresentatività è rigidamente definita e controllata.
“Abbiamo cercato di correggere alcune storture negli anni, ma possiamo intervenire solo fino a un certo punto. Ormai la consapevolezza del problema c’è: l’hanno capito al Ministero, ad Agea, anche nello stesso settore. Ma servono norme diverse, servono istituzioni strutturate come le OP”. La strada verso l’aggregazione qualificata è ancora lunga. Nel settore oleicolo, l’evoluzione verso modelli simili alle OP dell’ortofrutta è iniziata solo tre o quattro anni fa, con grandi difficoltà. Per l’apicoltura e la zootecnia in generale, questa trasformazione deve ancora decollare.
Le associazioni apistiche attuali, pur svolgendo un lavoro prezioso nei laboratori e nelle analisi di qualità del miele, operano con risorse limitate e in modo discontinuo. Ogni anno devono ripartire da capo, senza quella continuità operativa che solo una struttura consolidata come un’OP può garantire. “Le associazioni fanno cose bellissime: analizzano la qualità del miele, verificano la presenza di pollini provenienti da aree inquinate, organizzano formazione. Ma lavorano con pochi fondi e senza prospettiva pluriennale”, spiega ancora la dirigente. “Con le OP parleremmo di tutt’altro: avremmo continuità, progettualità, capacità di investimento. Sarebbe un valore aggiunto enorme per tutto il comparto”.
La prossima programmazione comunitaria, dal 2028 in poi, sarà decisiva. Se la Commissione Europea rafforzerà i requisiti di aggregazione anche per i settori che ancora ne sono privi, si potrà parlare di una vera consapevolezza istituzionale. Altrimenti, il ritardo strutturale dell’apicoltura rispetto ad altri comparti rischia di perpetuarsi.
Contraffazione e concorrenza sleale: il bando non basta
Sul fronte della contraffazione e della concorrenza sleale da parte di prodotti importati illegalmente o falsificati, il bando regionale offre strumenti limitati. Nella misura F1 sono stati inseriti interventi utili per consentire agli apicoltori di lavorare sulla qualità e la tracciabilità, ma mancano poteri di controllo e sanzione.
“Cerchiamo di dare forza a questi aspetti e di mettere gli apicoltori nelle condizioni di operare correttamente sul territorio”, ammette Pileri. “Ma più di questo non possiamo fare. Servirebbero norme specifiche, controlli istituzionalizzati come avviene nell’ortofrutta. Le OP del settore ortofrutticolo, salvo rare eccezioni, sono strutture solidissime: basta un errore per innescare audit che coinvolgono l’intero Stato membro, con correzioni finanziarie pesantissime. Per questo lavorano con estrema precisione”.
Insomma, l’apicoltura siciliana, pur potendo contare su risorse significative e su una programmazione certa, ha ancora bisogno di quel salto di qualità organizzativo che solo l’aggregazione strutturata può garantire.
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