
L’Europa vieta le “bistecche” vegetali: solo i prodotti con carne potranno chiamarsi hamburger o salsicce. E rilancia le Dop e le Igp
Addio “hamburger” di soia e “salsicce” di ceci. Da ora, questi nomi appartengono solo alla carne. Il Parlamento europeo ha sancito una separazione netta tra i prodotti di origine animale e le loro imitazioni plant-based, approvando un divieto che costringerà l’industria del settore a un drastico cambio di etichetta. Una decisione storica, che scatena un acceso dibattito tra la tutela delle tradizioni e l’innovazione alimentare.
L’emendamento chiave, che riserva denominazioni come “bistecca”, “hamburger” e “scaloppina” esclusivamente ai prodotti contenenti carne, è passato in plenaria con 355 voti a favore, 247 contrari e 30 astenuti. Il testo legislativo più ampio in cui è inserito, il “pacchetto Omnibus III” per la riforma della Politica Agricola Comune (PAC), ha ottenuto un’approvazione più netta, con 532 sì. La palla passa ora al negoziato con il Consiglio dell’UE, che rappresenta i 27 Stati membri, con i colloqui in calendario già dalla prossima settimana.
Una battaglia di parole, non di sostanze
La linea dei promotori è cristallina: chiarezza per il consumatore. “Non è salsiccia, e non è bistecca, punto e basta. Chiamiamo le cose con il loro nome”, ha affermato con tono perentorio l’eurodeputata Celine Imart (PPE), paladina della norma. Tuttavia, la misura non intacca la libertà di produzione e consumo. “È un diritto di tutti mangiare proteine alternative”, ha precisato la Imart, indicando che l’obiettivo è solo la trasparenza sull’etichetta. In Italia, il voto ha spaccato le delegazioni, con M5S e gran parte del PD schierati contro il divieto, segnale di un conflitto tra la difesa delle tradizioni agroalimentari e il sostegno alle nuove filiere sostenibili.
Il nuovo vocabolario del “giusto” e del “locale”
La stretta semantica del Parlamento non si ferma alla carne. L’emiciclo di Strasburgo imprime una regolamentazione ferrea anche su altre diciture chiave per il marketing agroalimentare. Termini come “giusto” ed “equo” potranno figurare in etichetta solo se i prodotti daranno un contributo concreto allo sviluppo rurale e alle organizzazioni di agricoltori. Anche l’abusata espressione “filiera corta” viene imbrigliata: sarà un privilegio riservato ai prodotti Ue movimentati con pochi passaggi intermedi e su brevi distanze. Una manovra a tutela del significato contro il greenwashing e le ambiguità commerciali.
Contratti blindati e dogane più dure
Oltre le etichette, la riforma varata oggi punta a rafforzare gli agricoltori europei su più fronti. Il Parlamento impone l’obbligo del contratto scritto per le consegne, sebbene con possibili deroghe settoriali, e abbassa a 4.000 euro (dai 10.000 proposti) la soglia per cui questo diventa obbligatorio, una misura che mira a proteggere anche i piccoli produttori. Per evitare frammentazione, viene bocciata l’ipotesi di organizzazioni di produttori esclusivamente biologici. Inoltre, viene innalzata l’asticella della qualità per le importazioni: i prodotti da Paesi terzi, sia vegetali che animali, potranno accedere al mercato Ue solo se i residui di antiparassitari saranno inferiori ai limiti consentiti per i prodotti comunitari.
La spinta al “compra Ue” negli appalti pubblici
Completa il quadro una spinta decisa al protezionismo di qualità. Bruxelles chiede ai governi nazionali di garantire che gli appalti pubblici per la ristorazione collettiva (come mense scolastiche e ospedaliere) diano priorità a prodotti agricoli e alimentari di origine Ue. La preferenza dovrà andare in particolare alle specialità locali, stagionali e a quelle che vantano i prestigiosi bollini DOP e IGP. Una manovra che intende irrobustire la filiera comunitaria dalla grande eccellenza alla produzione di prossimità, orientando la domanda pubblica verso il made in Europe.
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