Latte crudo e formaggi “vivi”: il gusto che la pastorizzazione non potrà mai replicare
Il latte crudo è meglio di quello pastorizzato? La domanda divide, ma per Massimo Todaro, docente dell’Università di Palermo e studioso delle caratteristiche nutrizionali dei formaggi, la risposta è chiara: “Il latte non trattato termicamente conserva tutte le sue caratteristiche aromatiche, sensoriali e salutistiche. La pastorizzazione distrugge molecole termolabili preziose”.
Il risultato? “I formaggi a latte crudo sono più aromatici e ricchi di componenti nutraceutici”, spiega il docente. La pastorizzazione, infatti, pur abbattendo la carica microbica, cancella anche la complessità biologica e aromatica del latte, privandolo della sua identità territoriale.
L’arma a doppio taglio
Todaro però non idealizza il latte crudo: “Può essere un’arma a doppio taglio. Se non gestito correttamente porta a formaggi pessimi e poco salubri”. La chiave sta nell’equilibrio tra competenza tecnica e responsabilità.
È proprio qui che entrano in gioco i piccoli produttori artigianali. “Possono realizzare autentiche perle casearie capaci di conquistare i palati più esigenti”, assicura l’esperto. “Le norme per la sicurezza del consumatore esistono già e sono rigorose: se rispettate, non ci sono problemi”.
Il rischio dell’omologazione
Il vero pericolo, secondo Todaro, viene da un’altra parte: la proposta sempre più insistente di imporre la pastorizzazione a tutte le produzioni casearie, sull’onda delle preoccupazioni legate all’E. coli STEC. “Il problema esiste, ma imporre indiscriminatamente la pastorizzazione significherebbe annientare millenni di storia e distruggere tante piccole realtà che vivono grazie alla loro capacità di produrre eccellenze irraggiungibili con il latte pastorizzato”.
A preoccupare l’esperto è anche la disinformazione: “Troppi allarmismi e pseudo-autorità scientifiche che parlano senza aver mai fatto ricerca nel settore lattiero-caseario”.
L’Italia all’avanguardia
Eppure l’Italia, secondo Todaro, è già un modello. “Il nostro sistema di controllo sulla sicurezza alimentare è tra i migliori al mondo. Basta applicare correttamente le norme e i piani di autocontrollo”. In altre parole: il latte crudo non è sinonimo di pericolo, ma di competenza.
Le piccole produzioni locali, spesso legate al pascolo e all’uso di attrezzature storiche, rappresentano presidi di biodiversità. “Sono queste realtà le uniche in grado di mantenere vitale un comparto zootecnico che è anche custode dei nostri territori”, sottolinea il professore.
La conclusione è un monito: “Se abbandoniamo il latte crudo perderemo identità, storia, cultura e il sapore della nostra vita”. Un patrimonio fragile ma prezioso, simbolo di quella biodiversità culturale che rende unica la tradizione casearia italiana.
Cos’è il latte crudo
Per latte crudo si intende il latte che non ha subito trattamenti termici sopra i 40°C, quindi non pastorizzato. Può provenire da mucche, pecore, capre, asine e altri animali da allevamento. La discussione si accende soprattutto sui formaggi freschi: mentre il latte da bere viene bollito, quello per fare i formaggi viene usato così com’è.
Il latte crudo è ricco di proteine di qualità, grassi facilmente digeribili, lattosio e minerali. Soprattutto, contiene alte concentrazioni di enzimi e vitamine sensibili al calore come A, D, B1, B2 e B12.
Nella produzione artigianale, il latte crudo fa la differenza. I formaggi che ne derivano riflettono il territorio, i pascoli, le razze locali. Hanno sapori più complessi e autentici, rappresentano la biodiversità di una zona. È questa unicità che attira sempre più consumatori alla ricerca di prodotti “veri” e poco processati.
I rischi: batteri pericolosi
Ma c’è il rovescio della medaglia. Proprio perché è un prodotto “vivo”, il latte crudo può ospitare microrganismi patogeni: Listeria, Salmonella, Escherichia coli, Campylobacter. Senza rigidi controlli igienici, diventa un rischio concreto per la salute.
Particolarmente pericoloso l’Escherichia coli STEC, produttore di tossine Shiga, che può scatenare la sindrome emolitico-uremica: una malattia grave, a volte mortale. Negli ultimi anni i casi sono aumentati, non solo per il latte crudo ma anche per carne e verdure contaminate. In Germania e Francia, germogli di soia contaminati hanno causato 50 morti. In Canada, nel 2021, il batterio è stato trovato nei sedani.
Chi deve stare attento
Bambini sotto i 5 anni, donne incinte, anziani e persone con difese immunitarie basse devono evitare il latte crudo e i formaggi che ne derivano. Per loro il rischio è troppo alto. Dovrebbero rinunciare anche a carne cruda o poco cotta, verdure non lavate, uova e pesce crudi.
Dal 2024, i ristoranti che servono formaggi a latte crudo devono indicarlo nei menù con un’avvertenza chiara sui rischi per le categorie vulnerabili.
La pastorizzazione: sicurezza ma meno sapore
La pastorizzazione – tipicamente 72°C per 30 secondi – elimina virus e batteri pericolosi senza compromettere troppo i nutrienti. Garantisce sicurezza microbiologica, ma ha un prezzo: distrugge la flora batterica naturale del latte, che va sostituita con fermenti industriali per la produzione di formaggi.
Il risultato? Un sapore più piatto e la perdita di alcune vitamine. Va detto però che nemmeno il latte pastorizzato è a rischio zero. Botulino e Listeria possono contaminare anche formaggi prodotti con latte trattato.
La verità è nel mezzo
Non esiste una risposta assoluta. Il latte crudo ha un suo valore in circuiti controllati e locali, dove igiene e conservazione sono garantiti. Il latte pastorizzato resta la scelta più sicura per la grande distribuzione e il consumo quotidiano. La vera sfida è coniugare qualità, sicurezza e sostenibilità, informando i consumatori in modo chiaro. Senza ideologie, senza mode. Solo fatti.
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