
Parla l'esperto
Grano duro in Sicilia: un tesoro che arricchisce tutti, tranne chi lo coltiva. Cosa fare?
di Giuseppe Russo
La Sicilia, culla della cerealicoltura mediterranea, ha davanti a sé un’occasione unica: trasformare la filiera del grano duro in un modello di sviluppo che metta al centro i suoi 30.000 agricoltori, custodi di una tradizione millenaria e di un prodotto di eccellenza. La crisi che attanaglia il settore non è insormontabile: con visione, collaborazione e strategie mirate, i produttori siciliani possono ribaltare le regole di un mercato che oggi li penalizza, ma che domani potrebbe premiarli. La soluzione c’è, ed è il momento di agire.Il paradosso del grano duro siciliano è evidente. Nei campi, coltivati su oltre 250.000 ettari, si raccolgono grani di altissima qualità sanitaria, perfetti per alimentare filiere locali di pasta, pane e prodotti da forno che rappresentano l’orgoglio gastronomico dell’isola.
Il grano duro come una commodity
Eppure, i prezzi all’origine sono in caduta libera, spesso sotto i 30 €/q, una cifra che non copre nemmeno i costi di produzione sostenuti dagli agricoltori. Al contempo, basta entrare in un supermercato o sedersi in una pizzeria per notare un controsenso: i prezzi al dettaglio di pasta, pane e prodotti derivati restano stabili o, in molti casi, aumentano. La forbice tra il valore riconosciuto al produttore e quello pagato dal consumatore si allarga, lasciando gli agricoltori – l’anello più debole della catena – a fare i conti con margini sempre più risicati. Chi guadagna davvero in questa filiera squilibrata? La risposta sta nelle dinamiche di un mercato globale che tratta il grano duro come una commodity, una merce standardizzata i cui prezzi oscillano in base a logiche lontane dai campi siciliani. Nelle borse merci di Chicago o Parigi, trader, fondi di investimento e operatori finanziari speculano su grandi volumi, sfruttando instabilità climatiche, geopolitiche o logistiche per generare profitti.
Il risultato? Il valore del grano siciliano, frutto del lavoro di migliaia di agricoltori, viene deciso a migliaia di chilometri di distanza, senza tenere conto della qualità o delle difficoltà di chi lo produce. In una regione come la Sicilia, caratterizzata da una frammentazione strutturale – sia delle colture sia degli interessi – questo sistema rende i produttori vulnerabili, incapaci di far valere il loro peso in un mercato dominato dai grandi player. Ma il futuro non è scritto.
Le due strategie
La Sicilia ha le carte in regola per cambiare rotta e trasformare il grano duro in una leva di sviluppo economico e culturale. Due strategie si stagliano all’orizzonte. La prima è svincolare il prodotto dalle logiche delle commodity, valorizzando l’unicità del grano siciliano. Iniziative come la riscoperta dei “grani antichi” – varietà autoctone che raccontano la storia dell’isola – o la certificazione di origine per la pasta siciliana stanno già muovendo i primi passi in questa direzione. Questi progetti non solo rispondono alla crescente domanda di autenticità e tracciabilità, ma permettono di posizionare il grano siciliano come un prodotto premium, capace di competere sui mercati nazionali e internazionali. La seconda strada è la costruzione di filiere verticali, che concentrino l’offerta e diano più potere ai produttori. Creando modelli di cooperazione che uniscano gli agricoltori, si può negoziare con maggiore forza con trasformatori e distributori, garantendo prezzi più equi e premiando la qualità che il mercato richiede.
Una sfida culturale
Superare la frammentazione, però, non è solo una questione economica: è una sfida culturale. La ritrosia a “fare squadra”, radicata in una regione dalla forte identità individuale, deve lasciare spazio a una visione collettiva. Gli agricoltori siciliani hanno dimostrato di saper produrre eccellenza: ora serve il coraggio di unire le forze, difendere interessi comuni e costruire una filiera che funzioni per tutti. Esempi virtuosi non mancano. Cooperative e consorzi che hanno investito in tracciabilità, marketing territoriale e innovazione stanno già dimostrando che il grano siciliano può essere un brand, non solo una materia prima.Con la nuova programmazione europea 2027-2033 alle porte, il momento è propizio per agire.
Serve un patto nuovo
Le risorse comunitarie offrono l’opportunità di finanziare progetti di valorizzazione, infrastrutture per la filiera e campagne di sensibilizzazione per i consumatori. La tracciabilità può diventare uno strumento di fiducia, capace di coinvolgere i cittadini in scelte consapevoli che premiano la qualità e il lavoro degli agricoltori. Serve, però, un patto nuovo, sostenuto dalla politica e condiviso da tutti gli attori della filiera: chi coltiva, chi trasforma e chi consuma. Solo così il grano duro siciliano potrà smettere di essere un paradosso e diventare un simbolo di rinascita, restituendo dignità e valore a chi, ogni giorno, coltiva la terra con fatica e passione. La Sicilia non è solo la terra del grano: è la terra delle opportunità. E in particolare, sta ai suoi agricoltori coglierle e scrivere un nuovo capitolo per il futuro.
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