Storia e territorio
La Sicilia e il vino, è la volta dei fenici e dei greci
di Giacomo Alberto Manzo*
Prosegue l’articolo “La Sicilia e il vino, dall’era geologica all’epoca omerica”. Ricordando che l’isola è l’unica regione dell’Italia meridionale che vanta il ritrovamento di ampelidi (viti) di ere geologiche assai antiche.
I Fenici (IX- IV a.C)
Alla fine del XII – inizio XI secolo a.C., inizia la navigazione fenicia (proveniente dalla fascia costiera siro-palistinese, l’attuale Libano, che venendo a contatto con il mondo classico, li chiamò phonix – in greco rosso porpora – il colore e il prodotto più tipico estratto dal murice – isola di Mozia – Marsala) che tocca tutte le coste del Mediterraneo (Nord Africa, Sardegna, Spagna) che culmina nell’814-813 a.C. con la fondazione di Cartagine (a circa 13 km dall’attuale Tunisi) e la civiltà punica. I fenici furono abili naviganti (studiarono per primi i venti, le maree, le stelle ecc), commercianti, ma soprattutto bravi coltivatori della terra e precisamente dell’olivicoltura e viticoltura. Portarono dalle proprie terre semi e piante e applicarono concetti agronomici ancora attuali. Vissero incontrastati lungo le coste del Mediterraneo dal IX e il principio dell’VIII secolo a.C., sino al giungere dei Greci (VIII secolo a.C.). I Fenici-Punici si rifugiarono nelle loro colonie dell’isola di Mozia (presso Lilibeo ora Marsala), Solunto, (Palermo), e Palermo.
Ai Greci, così si assicurarono L’Italia meridionale e i due terzi della Sicilia (centrale e orientale), e i Fenici le isole del canale di Sicilia, con il terzo restante dell’isola e dell’intera Sardegna. Con l’inizio del IV secolo a. C., la civiltà dei Fenici, viene messa in crisi con l’invasione delle colonie, tra il 397 ed il 368 a.C. da parte di Dionisio, tiranno di Siracusa. Questo distrusse tutte le colonie fenicio-puniche e dei loro alleati (Mozia, Segesta, Solunto), ma i punici conservarono il loro dominio sulla Sicilia occidentale, tanto che alcune di esse furono ricostruite nell’interno. Da tener presente come in questo periodo X secolo a.C. e successivi, i Fenici e i Punici svilupparono i loro commerci di vino, stimolarono la viticoltura nell’isola, praticata nelle zone interne della Sicilia da popolazioni indigene sin dal XIV secolo a. C. Testimonianze dei loro insediamenti è attestato da certe anfore e brocche e dai vasi arcaici a forma di bottiglia a labbro svasato, di sicura destinazione vinicola, ritrovati nella necropoli di Mozia (Marsala) del VIII-VI secolo a.C.
I Greci (VIII-III secolo a.C.)
La colonizzazione dei Greci iniziò in Sicilia con l’insediamento dei calcidesi a Nasso (attuale Taormina) intorno al 750 a.C., cui seguirono quella di Leontini (Lentini vicino Catania nel 729 a.C.) e di Katane (attuale Catania). I Corinzi fondarono Siracusa nel 734 secolo a.C.. I Megaresi, Tapso e Megara Iblea, dalla quale quest’ultima derivò Selinunte. I Rodio-Cretesi, Gela (688 a.C.), dalla quale Akragas (Agrigento) nel VI secolo a.C. I Calcidesi colonizzarono Zangle (Messina), dalla quale derivò Imera nel VII secolo a.C., cui seguirono molte altre “poleis” (città). I rapporti dei siculi con i conquistatori furono, quasi sempre, di pacifica convivenza, e in secondo tempo i siculi vennero lentamente assorbiti. Il processo di “ellenizzazione” (la penetrazione della lingua greca, la quale viene usata sempre più, fino a divenire la scrittura esclusiva, anche se per un lasso di tempo, circa 200 anni le popolazioni locali restarono bilingue) fu lento ma sicuro ed ebbe influenza enorme sulle popolazioni non greche, come le fenicio-puniche, Mozia, Lilibeo (Marsala), Trapani e Palermo, assunsero nome greco. Infatti in Sicilia l’uso della scrittura indigena si ha nei secoli VI e V a.C.: il siculo è indo-europeo; l’elimo, invece, mescola segni pittografici, in parte egeo-micenei e in parte alfabetici, e segni pittografici greci.
I Greci e Fenici-Punici, avendo delle conoscenze in materia agricola, più dei Sicani e degli Elimi, svilupparono la viticoltura, oltre che l’arte e l’architettura. Introdussero e coltivarono molti vitigni (fra la quale il Grecau e Graca, attuale Grecanico, il Pollio, identico al moscato e introdotto da Pollis Argivio tiranno di Siracusa), curarono la potatura e la forma di allevamento, rigorosamente ad alberello – ancora usata –, l’innesto, la costruzione di cantine e affinarono la tecnica di vinificazione. Tutto il contrario dei tratti omerici, dove la coltivazione delle viti selvatiche e la vinificazione era lasciata al proprio destino. La Sicilia divenne terra assai viti-vinifera, come attestano numerosi vasi per vino ritrovati, di quei secoli, spesso con raffigurazioni di motivi “bacchici” ed “uvicoli” (Basile 1976), come testimoniato nell’iscrizione sul coperchio del vaso di Centùripe (in provincia di Enna) del V secolo a.C. Ed è proprio dal coperchio di questo vaso “guttus” di terracotta è riportata l’attestazione scritta di “viino”.
Non mancano altre testimonianze decorative sulle monete ritrovate a Naxos (oggi Giardini Naxos) che conia nel 550-530 a.C. una litra d’argento su cui viene raffigurato oltre alla testa di Dionisio (amante dei riti bacchici) anche un grappolo d’uva, poi ripetuto nei secoli successivi fino al II secolo a.C. Altre testimonianze nei paesi alle falde dell’Etna e Catania, Agrigento, Lipari, Messina, evidenziano come l’impulso dato dai Greci abbia indubbiamente contributo allo sviluppo della vitienologia e agli scambi commerciali. Infatti, da molti autori (Bound e Falsone 1983, Parodi 1983) viene ricordato la grande attività commerciale, alimentata dal vino, che intorno al III secolo a.C. Il porto di Lilibeo (Marsala) divento un “emporio” di vini dell’Egeo, della Spagna, del nord Africa e della stessa Sicilia (come testimoniato dalle numerose anfore tratte nelle acque di Cos e di Rodi – Grecia – che producevano vini a basso costo e molto gradito ai soldati). (Alla prossima puntata)
Enologo*
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